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martedì 16 novembre 2010

I sapori pugliesi, tradizioni di una terra dove si incontrano culture diverse.

Nel 2008 l'Italia ha presentato all'Unesco una nuova candidatura da inserire nel Patrimonio dell'Umanità: la Dieta Mediterranea.

La dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi europei del bacino mediterraneo, in particolare Italia, regioni peninsulari ed insulari, Francia meridionale (specialmente Provenza e Linguadoca), Grecia e Spagna; tale dieta ha avuto grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay e alcune zone degli Stati Uniti d'America.

Questa dieta è stata abbandonata nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuta troppo povera e poco attraente rispetto ad altre modalità alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori.

Nella lista, entrerebbero pasta, frutta, verdura, cereali, olio d'oliva, pesce e vino, ma anche lo stile di vita e la storia dei prodotti. E se ci fosse una gara per la regione più rappresentativa della Dieta Mediterranea, questa, sarebbe vinta dalla Puglia.

Quale altro territorio esprime tanti prodotti mediterranei? Quale altra cucina ha visto tante influenze di popoli e culture? Un viaggio nella ricchezza enogastronomica pugliese non solo deve tenere conto di Normanni, Arabi, Spagnoli e Francesi che passarono per questa terra, ma anche della povertà che per secoli ha afflitto le campagne costringendo i contadini a creare piatti a base di prodotti semplici e nutrienti come olio d'oliva, vino, grano, verdure.

Gastronomia pugliese significa storia e tradizione, ma oggi anche innovazione e creatività: nel viaggio attraverso i sapori di questa terra ci accompagnano alcuni chef tra i più rispettosi della tradizione, e insieme innovativi.

Inizia Rosalba De Carlo, del ristorante Alle due Corti di Lecce. «Ho sempre avuto un sogno, riproporre i piatti della cucina salentina che vedevo preparare dai contadini. Tutto il giorno lavoravano nei campi e alle cinque del pomeriggio mangiavano un piatto unico, spezzature cu lipasuli: diversi tipi di pasta», ricorda Rosalba, «con i fagioli e con muersi, il pane fritto. Attingevano tutti da un unico grande piatto; il primo a servirsi era il capofamiglia che prima di mangiare si faceva il segno della croce». E il pane della tradizione pugliese? «Un tempo i contadini mettevano nella farina il lievito madre, lu liatu. Quel lievito passava da famiglia in famiglia e il pane veniva cotto nel forno comune del paese».

Secondo Beppe Zullo, del ristorante Villa Jamele a Orsara vicino Foggia, «I sapori del mio territorio sono quelli d'entroterra, forti, a base di maiale e cinghiale. La carne di vacca compariva un tempo solo sulle tavole dei nobili». Poi ci sono sempre stati i prodotti spontanei della natura: «le foglie misck, le foglie miste che ancora uso nella mia cucina che raccolgo nei campi», ricorda Zullo mostrando mazzetti di borragine, marasciuolo, rucola, finocchietto selvatico. «Ieri come oggi, la pasta, veniva fatta con la farina di grano arso, di scarto e senza uova.

Le uova erano un privilegio riservato ai ricchi», ricorda Pasquale Fatalino, dell'Antica Locanda di Noci, vicino Bari, che invita ad andare a vedere le'donne nei vicoli della vecchia Bari che fanno ancora la pasta a mano e la vendono: «Tipiche nostre, sono le orecchiette, i fricelli, i cavatelli». Pierluca Ardito, della Tenuta Monacelle di Monopoli, parla dei formaggi: «La tradizione casearia pugliese è antica; la Ricotta di latte vaccino, chiamata azzisa, seduta, viene condita con i prodotti della terra più semplici: olio e cipolla.

Poi c'è il Canestrato, preparato nella zona di Bari e Foggia con il latte di pecora. Il nome deriva dai canestri di giunco nei quali si fa stagionare. Ma non possiamo dimenticare la Burraia», conclude Ardito.

Il formaggio più celebre della Puglia viene, secondo la tradizione, da una vecchia abitudine dei contadini pugliesi: quella di non sprecare nulla. Sembra infatti che, all'inizio del Novecento, in un caseificio artigianale della zona di Andria, furono messi insieme avanzi di produzione: pasta filata e panna.

Vengono invece da antiche influenze straniere altri piatti della cucina pugliese, come la taiedda, o tiella, preparata con riso, patate e cozze: deriva dalla presenza spagnola; evidente è la somiglianza con la paella. E purè di fave secche del Salente, che si mangia accompagnato dalla cicoria, viene invece dalla cucina araba. Altro capitolo importante è il pesce. Celebre e antica è la coltivazione di mitili e ostriche a Taranto, ma Rosalba de Carlo ricorda anche il polpo come lo preparano a Lecce: (do purpu appignatu, messo nella pignata, la pentola di coccio. Va cotto molto lentamente. Le donne lo preparavano dalla mattina alla sera».

Beppe Zullo ricorda che in Puglia si è sempre usato il pesce azzurro, «perché povero; quando avanzava veniva fatto a scapece, fritto e collocato nella teglia a strati, con pane grattugiato, aglio e aceto, così si manteneva a lungo». I quattro chef concordano su un'altra tradizione pugliese, diffusa un po' ovunque, quella del fornello che si prepara nelle macellerie. Sono spedini di carne alla brace che vanno mangiati in piedi, accompagnati una fetta di pane e da un buon bicchiere di Nero di Troia o Primitivo di Manduria. Un pasto rapido che avrebbe molto da insegnare al fast food moderno.




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