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mercoledì 29 febbraio 2012

Rifugi montani lombardi .

Se state pensando di organizzare un weekend sulla neve in una località non troppo distante da Milano vi consigliiamo di tenere presente che oltre ai rinomati hotel è possibile optare per i rifugi montani lombardi che si prospettano come una valida alternativa salutare adatta a giovani e famiglie e soprattutto economica.

 Stiamo parlando dei rifugi attrezzati sulle nostre montagne lombarde  che offrono sia ad escursionisti esperti che a novizi un’ospitalità per tutte le esigenze.

La maggior parte dei rifugi si raggiunge a piedi mentre in altri si arriva direttamente con l'auto o in funivia.

Per i rifugi in cui è necessario un percorso a piedi è buona norma indossare scarponcini da montagna e racchette telescopiche per facilitare i movimenti.

Alcuni tra i rifugi e le baite consigliate anche dal sito della Regione Lombardia dove degustare la buona cucina familiare sono il Rifugio Baita Iseo in Valle Camonica (BS), il Rifugio Shambalà all’Alpe del Giumello (LC) o il Rifugio Carlo Porta al Pian dei Resinelli (LC). Cucina casalinga e trekking sulla neve anche al Rifugio Zoia in Valmalenco (SO) per chi vuole rilassarsi in un ambiente rustico e tradizionale senza rinunciare alle comodità.

Per chi non vuole rinunciare ai festeggiamenti con gli amici invece le moderne e attrezzate strutture del Rifugio Grassi in Valsassina (LC) e del Rifugio Tavecchia in Val Biandino (LC) dispongono di offerte speciali per i gruppi numerosi.


Il Rifugio Salmurano in Valgerola, per la notte di San Silvestro propone anche fuochi artificiali e una suggestiva fiaccolata notturna al chiaro di luna.

Vicinissimi alla città per chi desidera rincasare dopo la mezzanotte, il Rifugio Bugone e la Baita Carla a soli 40 minuti da Como.

Per l’inverno 2011-2012 il Rifugio Albani sopra Colere (BS) propone per ragazzi settimane bianche con lezioni di educazione ambientale e visita alle miniere di fluorite e per gli adulti ciaspolate al chiaro di luna e serate enogastronomiche.

Per visionare altre proposte e iniziative per le vostre prossime vacanze all’insegna della natura e della buona tavola potete visitare il sito www.rifugi.lombardia.it

Elenco:






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lunedì 27 febbraio 2012

L'oasi di Vanzago è un fazzoletto di terra che riporta i visitatori indietro nel tempo.

Il Bosco WWF si trova in Provincia di Milano ed il suo territorio è compreso nei Comuni di Vanzago, Pogliano Milanese ed Arluno. La proprietà e la gestione di oltre 143 ettari è del WWF Italia, su una superficie complessiva del sito di circa 192 ettari.

Ambiente della riserva naturale è quello tipico planiziale, detto del “pianalto asciutto”. Dagli inizi del 1900 più ricco d’acqua per la presenza della rete irrigua del Canale Villoresi che deriva le sue acque dal fiume Ticino. I boschi sono il relitto dei grandi boschi di caccia dei Visconti e degli Sforza. Rilevante la presenza di specchi d’acqua di varia profondità (per un totale di 12 ettari).

La campagna della fascia più esterna è ricca di prati stabili, di siepi, filari, fasce alberate. L'ambiente è in buona parte frutto di un interevento di riqualificazione ambientale operato negli anni da Ulisse Cantoni, originario proprietario della tenuta, che volle farne lascito alla associazione ambientalista, affinché si perpetuasse nel tempo la sua conservazione.

Nella Riserva sono presenti gran parte delle specie arboree dell'antico ambiente padano; in particolare i boschi sono formati da roveri secolari, farnie, olmi, aceri campestri, carpini bianchi, tigli, ciliegi selvatici e castagni. Splendido nelle stagioni della fioritura il sottobosco dove spicca per bellezza e intensità di profumo il mughetto e la pervinca.

Vicino agli specchi d'acqua si sviluppa la vegetazione palustre, soprattutto nel bacino Lago Nuovo, dal quale emerge un isolotto colonizzato dagli ontani, dai salici bianchi e da un fitto canneto. Il Lago Vecchio, invece, ha acque più ossigenate e ospita una fauna ittica più eterogenea (persici, lucci, tinche, cavedani). Sono presenti 123 specie di uccelli di cui 53 nidificanti.

Durante i passi e in inverno gli specchi d’acqua si popolano di cormorani, gallinelle d'acqua, alzavole, moriglioni, germani reali, aironi cenerini, nitticore e tuffetti. Nelle ultime stagioni fredde è comparso un visitatore d’eccezione per l’area padana: il grande Airone bianco. Nel bosco vivono, tra gli altri, il picchio verde e quello rosso, il rigogolo, l’allocco, il gufo comune, lo sparviero, l'astore.

Tra i mammiferi, la donnola, la faina, il tasso, il ghiro, la lepre europea e una buona popolazione di caprioli, il simbolo della riserva, ai quali vengono lasciati a disposizione uno dei quattro tagli di fieno dei campi coltivati con criteri rigorosamente biologici.

 



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giovedì 23 febbraio 2012

L'Oasi di Sant'Alessio è un giardino che consente a chi ama la natura di entrare in contatto ravvicinato con alcuni dei suoi fenomeni più segreti

Nel 1994, su invito degli amici della LIPU, l'Oasi di Sant'Alessio fu resa visitabile. Si scoprì presto, con qualche sorpresa, che gli animali selvaggi che popolavano quell'ambiente tolleravano bene la presenza umana.Si costruirono quindi camminamenti "segreti", che consentono ora al visitatore di penetrare nel cuore della garzaia (così si chiama, in gergo, la nidificazione coloniale degli aironi), o a pochi centimetri dal martin pescatore e dal picchio rosso, o a pochi metri dai fenicotteri, dalle cicogne, dai mignattai.

Si tratta di un giardino che consente a chi ama la natura di entrare in contatto ravvicinato con alcuni dei suoi fenomeni più segreti, senza sottoporsi ad addestramenti particolari e ad estenuanti attese, e senza possedere attrezzature e conoscenze che sono prerogativa di pochi professionisti.

Fra l'altro, senza infastidire popolazioni di animali selvatici. L'Oasi iniziò a nascere nel 1973, quando Antonia e Harry Salamon acquistarono il castello di Sant'Alessio e quel poco di terra che gli sta intorno tuttora.

Nell’Oasi, che va vista come un tempio dedicato alla vita selvaggia, spazi e allestimenti sono concepiti per eliminare o almeno minimizzare l’impatto, anche estetico, dell’artificiale sul naturale. Qui infatti si può ammirare la vita ed il comportamento di diverse varietà di uccelli. L’oasi è un luogo unico nel suo genere perché l’osservazione diretta non danneggia la tranquillità dei volatili grazie al particolare approccio approntato che anche i meno esperti possono praticare.

Dall'oasi sono stati reintrodotte in natura diverse specie di uccelli, per citarne alcuni: falchi pellegrini, cicogne bianche, cavalieri d'Italia, oche selvatiche e ibis eremita. L'oasi è specializzata nell'allevamento dell'ornitofauna, vanta una collezione che contempla anche mammiferi, rettili, pesci e insetti. Tra i mammiferi spiccano i bradipi, i callitricidi (piccole scimmie sudamericane) e i castori. Nelle serre è inoltre possibile osservare farfalle tropicali che svolazzano fra le numerose piante, che ricreano l'ambiente forestale dei tropici.

A parte la passione, un po' scientifica e un po' sentimentale per l'architettura medievale, c'era il progetto, accarezzato dall'infanzie e dall'infanzia preparato, di creare un allevamento di specie in pericolo, per ripopolarne la natura.

Antonia e Harry avevano una preparazione scientifica e una cultura liberale e pragmatica. Conoscevano la situazione della natura -in Italia e non solo- ed erano convinti che, per salvarne il salvabile, l'uomo dovesse darsi da fare.

La terra acquistata era un grande campo di erba medica. Non c'era un solo albero, un maleodorante rigagnolo -chiamarlo fogna sarebbe fargli un complimento- la attraversava tutta. Quel che oggi si vede è stato tutto costruito dopo.
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Non avevano tenuto conto, per giovanile ingenuità, che una piccolissima ma determinata parte dell'umanità si stava costruendo una specie di religione ambientale, fatta di conoscenze naturalistiche poco masticate -per esempio la convinzione che la natura sarebbe in un equilibrio distrutto dalla specie umana-di ignoranza dell'irreversibilità delle alterazioni compiute, di ossessione per la propria salute, di masochistico odio per l'umanità e per le sue conquiste, di ignoranza di ciò che era la vita umana solo un paio di generazioni or sono, il tutto condito da una buona dose di intolleranza e fomentato, già allora, dalla burocrazia (che voleva appropriarsi del nascente settore) e da un associazionismo assetato di soldi e di potere e cui formicolavano le mani dalla voglia di farsi parte politica.

Erano gli anni in cui il Falco pellegrino stava scomparendo dall'Europa e dal Nordamerica. Si pensava che il Cavaliere d'Italia -che in realtà stava solo compiendo uno dei suoi periodici spostamenti- fosse in pericolo d'estinzione. La Cicogna bianca mancava dall'Italia da cinque secoli e i pochi esemplari che transitavano sul nostro Paese, durante la migrazione stagionale, finivano immancabilmente imbalsamati (molti agricoltori tenevano il fucile sul trattore). Molte specie, ora protette, erano ancora sulla lista dei "nocivi".

Queste furono quindi le prime tre specie cui ci dedicammo (ebbene, sì, siamo ancora qui e siamo noi a scrivere questi appunti). Nel 1977, copiando fedelmente le strutture inventate da Tom Cade all'Università Cornell, costruimmo l'allevamento dei Falchi pellegrini, ancora esistente, rimasto per oltre vent'anni la più importante struttura del genere in Europa. Creammo una colonia di Cavalieri d'Italia, con esemplari importati dalla Tunisia. Nel 1981 Renato Massa, il magnifico naturalista, mente scientifica della rivista Airone, ebbe a dire "credevo che l'allevamento dei Cavalieri d'Italia fosse una bufala inventata da Salamon, quando mi trovai a camminare fra i nidi, numerosi come fossero galline". Una frase che ci è rimasta nel cuore. Nel 1984 arrivammo ad allevarne e liberarne 127. Dall'allevamento di Bucci, a Faenza, ottenemmo le prime cicogne. Già nel 1977 un gruppo di sei fu reintrodotto in natura, quindici anni prima di ogni altro tentativo italiano. Le sei furono poi seguite da altre 500 o più.
Nel 1983, su iniziativa di Gabriele Caccialanza, dell'Università di Pavia, uno dei nostri mentori e protettori, incontrammo Roberto Gatti, Assessore all'Ambiente della Provincia di Pavia. Personaggio indimenticabile, tutto d'un pezzo, generoso e coraggioso. Comprese subito ciò che facevamo. Ci circondò da 100 ettari di fascia protetta, destinati a diventare 300. Ci fece dare perfino un po' di soldi. Fu però presto cacciato perché non si piegava alle "logiche" della politica. I suoi successori ridussero i 100 ettari a 30.

Dopo molte incomprensioni -chiamiamole così- per iniziativa del compianto Alessandro Muzi Falconi, il neodirettore della Lipu, Marco Lambertini, ci venne a trovare. Poteva farlo, perché, in seguito alla scoperta della possibilità di determinare con certezza la maternità/paternità con il mezzo del DNA, avevamo, con l'aiuto di Vittorio Vigorita, un illuminato funzionario della Regione Lombardia, costretto le Autorità italiane a importare il metodo in Italia e ci eravamo prestati a fare da cavia.

Il perfetto risultato dell'esperimento aveva fatto dimenticare le polemiche e spianato la strada all'incontro. Lambertini era -è- un manager di cultura naturalistica, liberale e pragmatico. Trovammo rapidamente un accordo, per cui noi avremmo donato alla Lipu, che avrebbe provveduto alla reintroduzione in natura, nelle proprie Oasi, tutto il prodotto dei nostri allevamenti.

Lambertini, come molti uomini pragmatici, aveva in realtà una visione. Era convinto che le associazioni ambientaliste dovessero staccarsi dalla mammella dello Stato e dovessero abbandonare la strategia frignona e rissosa. E non dovessero ricorrere a scorciatoie di politica e di sottopolitica. Voleva che potessero vivere della propria professionalità: consulenze, gestioni e così via. Forse precorreva i tempi. Qualche anno dopo sarebbe andato in Inghilterra ad applicare le sue idee per Bird Life, la "mamma" della Lipu.

Pochi anni dopo, Renato Massa portò a visitare l'Oasi Sergio Frugis, il maggior ornitologo italiano del secolo scorso. Ne nacque un'amicizia fraterna, uno dei ricordi più preziosi che abbiamo. Sergio divenne il direttore scientifico di Sant'Alessio e lo rimase fino alla morte.


 
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mercoledì 22 febbraio 2012

Rifugi alpini in Calabria.

Un rifugio alpino è un edificio collocato in località montane, di solito lontano dai centri abitati, destinato a ospitare gli alpinisti e gli escursionisti che frequentano la montagna. Dispone di solito di servizi alberghieri di base: bagni, cucina, stanze da letto, sale da pranzo.

I rifugi alpini sono nati per aiutare i viandanti che in passato attraversavano le Alpi e avevano bisogno di luoghi ove trascorrere la notte e rifugiarsi in caso di condizioni meteorologiche avverse. Per potern trascorrere la notte è spesso richiesto l'utilizzo di un saccolenzuolo, alternativamente al sacco a pelo.

Negli ultimi decenni con lo sviluppo del turismo di montagna i rifugi sono diventati piccoli alberghi che, pur offrendo in molti casi solo servizi essenziali, ospitano non solo alpinisti ed escursionisti, ma anche turisti desiderosi di consumare un pasto durante una breve gita in montagna o durante una giornata passata sugli sci.

L'Italia vanta il più alto rifugio alpino d'Europa: è la Capanna Regina Margherita (4.559 m s.l.m.), situata sulla punta Gnifetti del Monte Rosa; questo rifugio è proprietà della sede centrale del CAI, ma è in gestione alla sezione di Varallo Sesia.

Il rifugio è, generalmente, di proprietà del Club Alpino della nazione in cui è collocato. Per esempio, in Italia, la maggior parte dei rifugi sono proprietà del Club Alpino Italiano.

Molti rifugi nelle alpi hanno all'interno stesso della struttura, o nelle vicinanze, un apposito locale invernale, che permette al turista di avere un posto per rifugiarsi e/o pernottare anche nella stagione invernale, ovvero quando il rifugio è solitamente chiuso.


Storia e caratteristiche.

Il razionamento dell'acqua è un tipico disagio dei rifugi alpini. I rifugi alpini sono nati per aiutare i viandanti che in passato attraversavano le Alpi e avevano bisogno di luoghi ove trascorrere la notte e rifugiarsi in caso di condizioni meteorologiche avverse. Negli ultimi decenni con lo sviluppo del turismo di montagna i rifugi sono diventati piccoli alberghi che, pur offrendo in molti casi solo servizi essenziali, ospitano non solo alpinisti ed escursionisti, ma anche turisti desiderosi di consumare un pasto durante una breve gita in montagna o durante una giornata passata sugli sci.


Il rifugio è, generalmente, di proprietà del Club Alpino della nazione in cui è collocato. Per esempio, in Italia, la maggior parte dei rifugi sono proprietà del Club Alpino Italiano.

Denominazione.

Rifugio o Capanna.

Nella Svizzera Italiana e nella zona delle Alpi Pennine si indicano le strutture qui descritte con il termine capanna mentre, con il termine rifugio, si intendono strutture più spartane, normalmente molto più piccole, che comunque offrono all'escursionista un tetto per ripararsi dalle intemperie e un tavolo, una cucina, e un giaciglio al coperto.

Capanna speleologica.
In alcune Regioni si intende con capanna speleologica un rifugio dedicato esclusivamente all'attività speleologica.

Classificazione.
I rifugi vengono in genere classificati secondo vari parametri: altezza, dislivello da superare a piedi per raggiungerlo, servizi offerti, ecc.
Classificazione dei rifugi italiani.

Il regolamento del Club Alpino Italiano prevede la suddivisione dei rifugi in 5 categorie:

A - Rifugi raggiungibili con strada rotabile o comunque in prossimità di questa.
B - Rifugi raggiungibili con altro mezzo meccanico di pubblico servizio (escluse le sciovie) o comunque in prossimità di questo.
C, D, E - Rifugi non ricadenti nelle precedenti categorie; l'appartenenza all'una o all'altra di queste categorie è legata alla quota del rifugio, alla difficoltà di accesso, ed al metodo con cui vengono effettuati i rifornimenti. La categoria C è ulteriormente suddivisibile in sottocategorie.

Il regolamento stabilisce altresì che questa classificazione ha valore solo all'interno del CAI medesimo.


Il fascino della scoperta continua in quella Liguria dai mille volti, soffermandosi questa volta alla straordinaria varietà naturalistica dei Parchi e delle Aree Protette, che registrano nell’arco di pochi chilometri, coste ancora ricoperte dalla macchia mediterranea e montagne già appartenenti, per flora e fauna, agli ecosistemi alpini.

Galleria.




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mercoledì 8 febbraio 2012

Natura protagonista: biodiversità nelle aree protette della Liguria.

liguriaSolo in pochi sono a conoscenza dei tanti primati naturalistici che la Liguria può annoverare, soprattutto nell’ambito dei 36.000 ettari tutelati dai Parchi e dalle Aree Protette, quasi il 7% del territorio regionale.
In Liguria, nello stesso fazzoletto di terra, si possono scoprire specie botaniche normalmente presenti ad alte quote assieme ad altre consuete delle sponde africane.
liguria1 Non c’è quindi da stupirsi se nelle crepe calcaree del monte Pietravecchia si è testimoni della coesistenza del timo, pianta tipicamente mediterranea (che tocca la sua massima quota nelle Alpi Liguri), con la sassifraga a foglie opposte (Saxifraga oppositifolia), specie che si spinge a Nord fino all’83° parallelo.
Come non bisogna sorprendersi se i ciuffi bianchi della sassifraga spatolata (Saxifraga cochlearis) impreziosiscono le Alpi Liguri, prossime a diventare Parco, e al tempo stesso le rupi di conglomerato del promontorio di Portofino, rarità della quale va orgoglioso il Parco regionale di Portofino (superf. 1056 ha), che, tra l’altro, conserva uno dei miglior esempi di macchia mediterranea ligure, insieme alle due isole delle riserve naturali regionali di Bergeggi (superf. 8 ha) e della Gallinara (superf. 11 ha).
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La pianta del litorale ligure che incuriosisce più di tutte è forse l’euforbia arborea (Euphorbia dendroides), poiché, contrariamente agli altri vegetali, fiorisce in pieno inverno mentre d’estate, per combattere la disidratazione, cade in “letargo” assumendo un aspetto quasi scheletrico. Là si ritrova lungo l’assolata costa ligure tutelata in parte dal Parco regionale di Portofino e dal Parco regionale di Portovenere (superf. 279 ha) e dal Parco nazionale delle Cinque Terre (superf. 3859,73 ha).
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La regione annovera anche diversi “relitti glaciali”, sopravvissuti su suoli calcarei oppure serpentinitici. Quest’ultimi sono particolarmente selettivi nei confronti della vegetazione a causa dell’alto contenuto in magnesio delle loro rocce metamorfiche scure, tanto che solo poche specie li prediligono o ne sono tolleranti; altre poco competitive vi trovano “rifugio” come la dafna odorosa (Daphne cneorum), eletta con i suoi quattro petali a simbolo del Parco regionale del Beigua (superf. 8.715 ha).
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Microclimi freddi e nebbie, tipici delle dorsali montuose, favoriscono la sopravvivenza di “relitti glaciali” come l’astro alpino (Aster alpinus), la viola biflora (Viola biflora) e l’adenostile alpina (Adenostyles alpina), mentre nelle zone umide di torbiere e laghetti vegetano i pennacchi (Eriophorum), la calta (Caltha palustris) e la drosera (Drosera rotundifolia), piantina insettivora che si ritrova soprattutto nella torbiera del Laione (presso l’altipiano del Beigua) e nella Riserva Naturale Orientata delle Agoraie e del Moggetto, ospitata nel Parco regionale dell’Aveto (superf. 3018 ha).
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Splendide fioriture si possono osservare in tutta la regione ma il primato spetta al Parco regionale dell’Antola (superf. 1086 ha), grazie alle estese tavolazze di colori che si ammirano sui prati di crinale, dove si distinguono arnica (Arnica montana), orchidee (Dactylorhiza sambucina), botton d’oro (Trollius europaeus) e, soprattutto, narcisi (Narcissus poeticus).

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Non mancano in Liguria aspetti di vegetazione fluviale dove è il Parco regionale di Montemarcello-Magra (superf. 4320,8 ha) ad esserne il rappresentante più accreditato: accanto a lembi di vegetazione ripariale a canne, salici e ontani, sopravvivono frammenti di zone umide, con piante acquatiche non presenti altrove in Liguria e rare anche sul territorio nazionale: ninfee, idrocaridi, sagittarie e utricularie. Terminiamo questa veloce panoramica a 360 gradi sulla flora ligure con specie pioniere come il timo, la cannella argentea (Achnatherum calamagrostis) e la saponaria rossa (Saponaria ocymoides) che, nonostante l’incoerenza del substrato, riescono a colonizzare i sinuosi e morbidi calanchi della val Bormida, che ospita le aree protette delle Bormide savonesi (Ufficio Parchi ed Aree Protette Provincia di Savona) e il Parco regionale di Piana Crixia (superf. 794 ha) e il Parco regionale di Piana Crixia Bric Tana (superf. 169,50 ha).
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BIODIVERSITA’ ANIMALI.
Anche nell’ambito della fauna, come già visto per la flora, in Liguria possono convivere specie nordiche con altre tipicamente mediterranee. Si può penetrare nei boschi per scoprirvi il capriolo, soprattutto alle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio, quando si prodiga in inseguimenti mozzafiato. Si può udire il particolare bramito del daino che riecheggia nelle alte valli del Trebbia (Parco dell’Antola) o in quelle del Savonese. Ma questi ungulati non sono gli unici animali ad abitare la foresta: comuni sono anche il cinghiale e il tasso, mentre quasi remota è la speranza d’incontrare l’ineffabile puzzola.
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Grazie a loro, inconsapevoli vittime, anche il lupo ha fatto la sua ricomparsa nelle valli interne dell’Appennino, nascosto nella penombra delle faggete dell’Aveto, dell’Antola e del Gottero.
A ponente, camminando sulle pietraie delle Alpi Liguri, si può sentire l’acuto fischio della marmotta, simpatico roditore che è facile scorgere grazie alla sua innata curiosità. Se poi si individua il punto da dove proviene il rumore di pietre smosse si può scorgere il timido camoscio in fuga. Dalla terra al cielo, senza volare con la fantasia, è possibile ammirare le evoluzioni del magnifico falco pellegrino, tornato a nidificare tanto sulle falesie costiere che sulle pareti rocciose dell’interno; oppure le suggestive planate dell’aquila reale, possente nei suoi due metri di apertura alare, e del biancone, rapace migratore specializzato nella cattura di rettili. Anche tra quest’ultimi, ingiustamente trascurati se non addirittura invisi dagli escursionisti, si registrano specie interessanti, come la lucertola ocellata, non fosse altro che per i suoi 60 e più centimetri di lunghezza, e tra i serpenti il còlubro lacertino, predatore di altri rettili; la natrice tassellata che si nutre di pesci; la natrice viperina, specializzata nella cattura degli anfibi e delle loro larve.
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Gli anfibi sono sensibili alle alterazioni ambientali e all’inquinamento, ma in Liguria la famiglia è ben rappresentata, seppure passi quasi inosservata ai non addetti ai lavori. Eppure molte specie presentano particolarità davvero uniche, come il geotritone, vertebrato che respira attraverso la pelle e che, pur essendo un anfibio, non ha un ottimo rapporto con l’acqua. Oppure i tritoni che quando sono “in amore” sfoggiano forme e colori splendidi (il piccolo tritone punteggiato italiano, il grande tritone crestato italiano, il vivace tritone appenninico). Come non citare poi la rana temporaria, presente in Liguria con popolazioni relitte che testimoniano le avvenute epoche glaciali, ed hanno particolare consistenza nelle torbiere della val d’Aveto. La rana appenninica è decisamente più diffusa, come anche la salamandrina dagli occhiali. L’ambiente acquatico è comune anche alla avifauna, in particolare nel Parco naturale di Montemarcello-Magra, vero paradiso dei birdwatchers, dove si può osservare buona parte delle specie di uccelli che transitano e si riproducono in Italia. Se poi aveta la fortuna di immortalare con la reflex il piccolo e coloratissimo martin pescatore…

IL SISTEMA DELLE AREE PROTETTE REGIONALE.
È attualmente costituito da un Parco nazionale (Cinque Terre), otto Parchi naturali regionali, di cui cinque gestiti da Enti parco (Antola, Aveto, Beigua, Montemarcello-Magra, Portofino), tre dai singoli Comuni interessati (Bric Tana, Piana Crixia, Porto Venere), tre Riserve naturali regionali (Bergeggi, Gallinara, Rio Torsero), un Giardino botanico regionale (Hanbury) e un Giardino botanico provinciale (Pratorondanino/GE). Il Sistema è integrato da due Aree Marine protette statali (Cinque Terre e Portofino), due in corso di istituzione (Bergeggi e Gallinara), e dalle estensioni a mare di due aree protette regionali (Giardini Botanici Hanbury e Porto Venere).
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L’Alta Via dei Monti Liguri rappresenta poi l’asse portante del sistema di infrastrutturazione ambientale e di fruizione della Regione. Inoltre, si aggiunge un Sistema di aree protette provinciali progettato dalla Provincia di Savona, mentre si sta riprendendo con la Provincia di Imperia, il percorso per l’istituzione del Parco naturale regionale delle Alpi Liguri. La salvaguardia del restante territorio regionale di rilevante pregio naturalistico è affidata al regime di conservazione del Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico e alla “Rete Natura 2000”, esteso sistema di pSIC (proposti Siti di Importanza Comunitaria) e ZPS (Zone di Protezione Speciale).

NATURA PROTAGONISTA.

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Il fascino della scoperta continua in quella Liguria dai mille volti, soffermandosi questa volta alla straordinaria varietà naturalistica dei Parchi e delle Aree Protette, che registrano nell’arco di pochi chilometri, coste ancora ricoperte dalla macchia mediterranea e montagne già appartenenti, per flora e fauna, agli ecosistemi alpini.



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