Il destino comune delle isole, Piccole. Qualunque lingua si parli, dovunque si abiti e da qualsiasi luogo si parta, una sola strada sarà quella per arrivare qui. L’ avere una unica rotta, una ed una sola prospettiva, una sorta di linea retta, come quella che tutti i giorni da Napoli o Pozzuoli disegnano i traghetti per Procida.
E così questi diventano luoghi diventano ricordi che si rivivono ogni volta con quel lento avvicinarsi alla costa, con le sagome grigie all’orizzonte che cominciano a colorarsi, quel disegno delle case sempre più dettagliato, quell’odore della salsedine delle cime lanciate sul molo quando si tendono a calare la passerella.
Sempre meravigliosamente uguale.
Procida è di quella bellezza lì, arcaica, di tufo e di vulcano, che inali camminando senza orologio. Certo ci sono strade, autovetture, negozi e altre modernità, ma c’è qualcosa che resiste come a rivelarci la natura grezza e primitiva ad ogni passo, ad ogni scorcio, ad ogni incontro. Forse sono piccole spiagge scure protette dalla costa alta, brulla, curvata dai venti.
O sono case messe lì, così alla rinfusa, ad assecondarne il terreno, a scalarne la roccia. Sono di certo quelle poche parole da ascoltare, giusto le necessarie, come se qui, i procidani volessero mantenere un segreto, difendersi dalle moltitudini, non avere un prezzo.
E’ il loro carattere.
Il porto sarà per primo, uguale a tanti altri, con il suo moto perpetuo. Si arriva, si parte, si aspetta. Una vita a parte. Intanto qualche negozio, i tavolini dei bar e i ristoranti. Poi o si riprende il mare oppure si sale. Per entrare nell’isola. Quindi saranno autobus piccoli e veloci, li ricorderete misurati sui centimetri dei vicoli, con le foglie dei limoni che ti entrano dai finestrini.
E ancora cercherai il faro con la sua solitudine ma anche la Chiaiolella con il suo piccolo porto turistico e i lidi delle spiagge ingombrate dai lettini e gli ombrelloni.
Poi, col tempo, succede di stupirsi dei panorami delle altitudini, giusto qualche decina di metri che qui bastano a conoscere la vertigine, così, con quel braccio allungato nel nulla, a toccare Ischia e la costa flegrea. E poco oltre Vivara, l’isola che non c’è, negata da quel lungo ponte che la lega prolungando col ferro i frastagli della roccia.
Infine la Corricella. Pura meraviglia. Presepe di mare al punto di riconoscere tra le ombre i Re Magi scendere dalle ripide di asfalto. Morbide geometrie di colori dove i livelli delle case sono contemporaneamente primi ed ultimi. Terra e cielo.
Qui, per fortuna, negli altri dieci mesi dell’anno, quelli che non appartengono all’estate, i gatti tornano ad essere i veri protagonisti tra le reti ad asciugare sul molo.
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