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sabato 5 dicembre 2009

I siti archeologici dell'isola di Sant'Antioco, terra di bellezza..

Sant'Antioco, terra di bellezza.

Sbarcare a Sant'Antioco è un'appagante sensazione di gioia che si rinnova da oltre due Millenni.

Testimonianze nuragiche, fenicie, romane e persino sabaude si susseguono in un territorio ancora tutto da esplorare. Audaci, straordinari navigatori quei fenici, ma anche scopritori di bellezze, da loro puntualmente segnate come "capisaldi" della loro "via del sole". Non c'e luogo da loro svelato che non sembri -ancor oggi- un lembo di cielo tirato giù sulla Terra per esser poi bagnato dal mare. Come l'isola di Sant'Antioco in Sardegna.

"Su Para e sa Mongia"
Si tratta di due menhirs (pietre messoe verticalmente piantate nel terre­no) ovvero simboli aniconici (cioè sim­boli che non ammettono immagini) connessi con la religione della fertilità delle popolazioni prenuragiche (3000 a.C. circa).

I primi abitanti dell'isola avevano il culto della Dea Madre. Essa rappresentava la natura, la terra, il mare, le stagioni, la fertilità, il principio della vita. Spesso in prossimità dei villaggi, venivano collocati due grossi betili simboleggianti i dure principi della vita, il maschio e la femmina. Un esempio di ciò lo roviamo nei betili che sorgono all'ingresso dell'istmo di Sant'Antioco, noto come "Su para e sa Mongia".

Si suppone che lì vicino sorgesse un villaggio di capanne e che i due betili testimoniassero la presenza degli dei nella comunità.



I Tophet
La parola tophet è un termine di origine biblica che indicava un luogo, nei pressi di Gerusalemme, nel quale venivano bruciati e sepol­ti i bambini, e che oggi, convenzionalmente, indica le aree sacre di età fenicia, punica rinvenute in Sardegna, Sicilia e Tunisia e nelle quali sono state recuperate urne contenenti ossa bruciate di bambini e di ani­mali.

Il tophet di Sant'Antioco, utilizzato a partire dall'Vili al I sec. a.C.,si presenta come un'area all'aperto, ubicata all'estrema periferia setten­trionale dell'abitato, che si appoggia ad una roccia trachitica denomi­nata "Sa Guardia de is Pingiadas" (la guardia delle pentole) a causa della gran quantità di urne cinerarie che affioravano dal terreno. Sino ad oggi ne sono state recuperate circa 3.300.

Le urne conservano ossa bruciate di bambini, talvolta di piccoli ani­mali e qualche oggetto votivo. I resti ossei per lungo tempo sono stati attribuiti ad un rito sacrificale cruento, che prevedeva l'uccisione ritua­le dei primi nati, mentre oggi l'indagine osteologica testimonia che la maggior parte dei bambini cremati nel tophet erano nati morti o dece­duti per causa naturale in tenera età e che i resti animali erano una com­ponente del rito stesso.

Le urne, solitamente deposte tra le cavità naturali della roccia, sono spesso accompagnate da stele di pietra (ad oggi se ne contano circa 1.700, conservate nei musei di Cagliari e di Sant'Antioco) recanti immagini umane, simboliche e più raramente di animali connesse al rito che si svolgeva nell'area sacra.

Il complesso delle stele di Sulci è uno dei più interessanti cono­sciuti, e al Museo Archeologico è possibile ammirarne una selezione che, per quanto ristretta, rappresenta le tipologie principali e gli svi­luppi iconografici elabo­rati nelle botteghe lapicide sulcitane.

Villaggio Ipogeo
Si tratta di un suggestivo villaggio costituito da ipogei di epoca punica scavati sulla nuda roccia e riutilizzati, a partire dal XVII secolo, come abitazioni dalle classi più povere del paese fino agli anni 1950.

Con il nome impro­prio di "grotte" si indica quella parte di necropoli punica formata da tombe a camera scavate nel tufo, trasformate dalle famiglie più povere di Sant'Antioco.

L'estensione originaria della necropoli era di oltre sei ettari e considerando che in media ogni tomba occupava quaranta metri quadrati si puo' valutare che il numero di ipogei fosse di circa millecinquecento. In base a cio' la popolazione, all'epoca, residente puo' essere stimata in 9000-10.000 abitanti, inserendo l'antica Sulky tra le citta' piu' popolose ed estese del Mediterraneo.

Oltre alle tombe utilizzate come abitazioni, i due settori attualmente visibili della necropoli sono situati, uno, tra l'altura del Fortino Sabaudo e il mare, l'altro, sotto la Basilica dedicata a Sant'Antioco.

I leoni di Sulci
Si tratta di due grandi sta­tue di leone di epoca punica realizzati con materiali ricavati da cave locali intorno al IV sec. a.C.

La loro collocazione origi­naria doveva essere ai lati della porta settentrionale della cinta muraria.

Le statue di Icone sono state rinvenute in una situazione che è chiaramente di reimpiego nell'area della necropoli.

Molto probabilmente il leone aveva la funzione di guardiano (assieme ad una scultura gemella) della porta di un sepolcro monumentale.


La fontana romana
Situata in piazza Italia o piazza "Is Solus", la più fre­quentata dagli antiochensi, forse, non a caso, proprio per la presenza di questo impor­tante monumento.

La fontana romana ha costituito sin dalla sua costru­zione e fino a poco tempo fa, la risorsa idrica più importante del paese.

La quota nella quale attualmente si apre la fontana, a tre metri di profondità rispetto all’attuale livello della piazza, rappresenta dunque l’antico piano di calpestio praticabile in età punica e romana. A nessuno sfuggirà l’importanza di una fonte pubblica già disponibile in età così antica. Occorre infatti ricordare la rilevanza dell’acqua dolce per l’antica marineria e occorre anche notare che l’antico porto era praticamente adiacente alla cosiddetta Fonte romana. Tuttavia, l’aspetto attuale dell’impianto idrico nulla ha di romano né di antico, poiché si tratta di un rimaneggiamento eseguito nella prima metà del secolo scorso.

II ponte romano
Percorso tutto l'istmo, poco prima di arrivare in paese, sulla destra, si può apprezzare il Ponte romano" (II - III sec d. C. ), utilizzato sino agli anni Cinquanta quale unica strada ili accesso. Le pietre in arenaria delle arcade costituiscono la parte originaria, mentre il resto è il frutto dei continui rifacimenti che il ponte ha subito nel corso della sua storia.

I ponti romani occupano un posizione di primario interesse nella viabilità della Sardegna romana. Si tratta di opere d’arte della rete stradale la cui appartenenza all’architettura romana è facilmente comparabile con quelli di altre provincie, nonostante i rimaneggiamenti avutisi nei secoli. Il ponte romano di Sant’Antioco, conosciuto da tutti col nome di “Pontimannu” rappresenta, come d’altronde gli altri ponti sardi, un unicum non solo nella sua forma ma anche per la posizione sul territorio.

Differentemente dagli altri collega la terraferma con un isola e non il guado di fiumi o dislivelli. Il nome ricorda l’esistenza di altri ponti, più piccoli, che legavano l’isola di Sant’Antioco al continente sardo attraverso l’unione degli isolotti dell’attuale istmo. Della sua importanza, e della necessità di interventi di restauro, abbiamo notizie pochi anni dopo il ripopolamento.

Il Fortino Sabaudo
II forte Sabaudo, conosciuto anche col nome di "Guardia de su Pisu" oppure "il Castello" domina da una collina alta 60 mt. l'abitato di Sant'Antioco. E' una piccola costruzione di 270 mq., edificato nel 1812, su una preesistente struttura punica per proteggere la cittadina dalle incursioni barbaresche. Una garitta a più feritoie controllava l'in­gresso permettendo il controllo di un vasto tratto di mare.

Il 16 Ottobre del 1815, in occasione dell'ultima incursione in Sardegna dei pirati tunisini, il forte fu teatro di una sanguinosa batta­glia, in seguito alla quale il comandante della guarnigione, Efisio Melis Alagna, dopo una valorosa ed eroica resistenza, fu ucciso dai barbare­schi. Almeno cinque abitanti di Sant'Antioco furono fatti prigionieri e portati a Tunisi in attesa del riscatto.

Restaurato di recente è stato inserito nel tour dell'Area archeologi­ca di Sant'Antioco che comprende la visita del museo Etnografico, del villaggio ipogeo e, appunto, del Fortino Sabaudo.

Come si arriva:
Nuraghe S'Ega Marteddu
L'Isola di Sant'Antioco si colloca nel Sud-Ovest della Sardegna e dista da Cagliari, il capoluogo, circa 87 km.Pur essendo un'isola, e' collegata alla Sardegna da un istmo percorribile in auto. Via mare , la Sardegna e' collegata al Continente da linee quotidiane di traghetti tutto l'anno.

Viaggiando con auto al seguito, e' sempre consigliabile prenotare con largo anticipo.I principali scali portuali della Sardegna sono in ordine di importanza Cagliari,Porto Torres, Olbia, Golfo Aranci,Arbatax,Palau. Mentre con l’aereo l'aeroporto principale di Cagliari-Elmas, soprattutto d'estate, e' ben collegato con le principali città italiane ed europee. Di recente sono state attivate anche linee low-cost.
Sono qui indicate le princincipali modalità di arrivo sull'Isola:
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lunedì 13 luglio 2009

A spasso per Cairo Montenotte nel cuore della Val Bormida.


Cairo Montenotte (Cairi in ligure) è un comune italiano di 13.695 abitanti della provincia di Savona in Liguria, il quarto comune della provincia per numero di abitanti e il più popolato della regione fra quelli senza sbocco al mare, e principale centro della Val Bormida, area urbana di circa 40.000 abitanti.

Il territorio comunale è il secondo maggiore della provincia savonese dopo Sassello e il quinto in Liguria. Recentemente si è tenuta a Cairo la conferenza sulla costruzione ufficiale della "Città delle Bormide".


COME SI ARRIVA A CAIRO
Si raggiunge in auto provenendo da Genova o da Torino con l'Autostrada A6 Savona-Torino, uscendo al casello di Altare.

Da qui ci si innesta con la Statale 29, in direzione Carcare-Cairo. La statale 30 invece è una comoda via di collegamento per chi proviene da Alessandria-Acqui.

Ma si può raggiungere direttamente per ferrovia, con la Savona San Giuseppe - Alessandria, mentre chi proviene da Torino deve cambiare linea a San Giuseppe.

ASPETTI GEOGRAFICI
Adagiata in una scenografica cornice di colline, pochi km a settentrione del Colle di Cadibona (460msl), convenzio­nalmente posto quale limite tra le Alpi Marittime e l'Appennino Ligure, è cre­sciuta e si è sviluppata la città di Cairo Montenotte.

Definita, e non a torto, "capitale della Valle Bormida" è bagnata sulla sponda sinistra da un ramo sorgentizio di fiume, appunto la Bormida, da cui pren­de nome la Vallata. Raccoglie infatti le acque della Bormida di Mallare (Pian dei Corsi) e della Bormida di Fallare (Colle del Melogno), che si uniscono dopo un paio di km nella conca di Carcare per originare la Bormida di Spigno. Il corso
d'acqua discende poi verso una valle più ampia e d fili più dolci rispetto a quella Bormida di Millesimo, confluenti quest'ultima poco a monte di Bormida diventando infine uno degli affine Tanaro.




Il fiume, dopo decenni di morte causata dagli scarichi delle industrie chimiche,si sta nuovamente riponendo di composita fauna ittica . Nei folti canneti trovano sicuro riparo stormi di uccelli migratori, lungo le insenature fluviali, nelle sabbiose rive è facile osservare timidi cinerini dividersi il territorio con colonie di gabbiani .Variceli mus della flora. Ampie estensioni di faggete, folti boschi di castagni.
Cosa vedere fuori porta:

VILLA DE MARI.

Splendido gioiello neoclassico Villa De Mari, costruita nel 1825 su progetto di Carlo Barabino (ideatore del Teatro genovese Carlo Felice) per conto del nobile Luigi Durazzo divenne proprietà alcuni anni dopo dei Marchesi De Mari, i cui discendenti la occuparono fino alla fine degli anni ottanta. La villa con il suo ampio parco, non è al momento visitabile; è situata in via XXV aprile lungo la comunale per Rocchetta. 


LOCALITÀ' VILLE CONVENTO FRANCESCANO XIII.
A pochi km da Cairo, lungo la strada per Cortemilia, sorge una notevole testimonianza artistica: l'ex convento francescano risalente al XIII secolo. La tradizione vuole che a fondarlo sia stato San Francesco. E con ogni probabilità l'episodio ha un fondamento storico. Nel 1213 il Santo aveva infatti intrapreso un viaggio alla volta del Marocco per tentarne l'evan­gelizzazione. Giunto a Cairo miracolò la figlia di Ottone del Carretto sordomu­ta dalla nascita. Il nobile allora si sdebi­tò donando all'ordine dei" Minori Osservanti" un appezzamento di terra per edificarvi un convento la cui chiesa venne consacrata a N.S. degli Angeli. Nel tempo la struttura si allargò .Nel 1770 vi dimoravano ancora una ventina di monaci che vi tenevano corsi di filo­sofia. 


Con la soppressione degli ordini religiosi, decretata da Napoleone e l'incendio del 1799,appiccatovi dai suoi soldati,cominciò il rovinoso declino. Ancora discretamente conservato il chiostro a 15 colonne in pietra, raro esempio di transizione fra il medioevo e il rinascimento.

Necessitano di tempestive cure gli splendidi affreschi riguardanti la vita di S. Francesco, che decorano le volte del chiostro.

Quasi sicuramente (anche se accurate perizie non sono mai state eseguite) si devono a Guglielmo Caccia da Montabone detto il Moncalvo, attivo intorno ai primi anni del XVII.
FERRANIA ABBAZIA DI SAN PIETRO E NICOLO'.

Un passato millenario contraddistingue l'Abbazia di S.Pietro e Nicolo di Ferrania. In un primo documento del 1027 si parla di una donazione di beni fatta da Tete del Vasto (padre di Bonifacio) ai monaci benedettini, da alcuni anni già insediati nella zona. Settanta anni dopo, nel dicembre 1097, Bonifacio del Vasto dona a sua volta ai canonici benedettini, che nel frattempo avevano accolto la regola di S'Agostino, una grande estensione di terreno, chie­se, ecc.

Fu in seguito proprietà infine passò in eredità al casato di dei De Mari. Oggi il territorio della ex appartiene alla Ferrania Technologies.

All'interno dell'Abbazia è stato allestito un museo in raccolte circa diecimila rarissimi arredi.

RISERVA NATURALISTICA DELL 'ADELASIA.



Sulle alture di Ferrania a pochi km. da Cairo, trovate il refrigerio sicuro nella silente macchia boschiva del Parco dell'Adelasia.

La leggenda vuole che Adelasia.figlia di Ottone I di Sassonia ,per coronare il sogno d'amore, osteggiato dal padre, con Aleramo, decidesse di fuggire con il suo amato, trovando riparo nella grotta naturale da cui il Parco prende nome. Dalla Riserva partono quattro itinerari escursionistici di notevole pregio fore­stale floristico e paesaggistico, ed è attraversata dall'Alta Via dei Monti ligu­ri che fa tappa al rifugio della Cascina Miera. 

SANTUARIO MADONNA DELLE GRAZIE.


II Santuario Madonna delle Grazie di località "Passeggeri " a ben ragione si può definire "Tempio dell'arte valbor-midese". Per due importanti peculiari­tà. L'una d'interesse archeologico, l'altra prettamente artistica.

L'ARCHEOLOGIA
Le radici della Cairo neolitica e poi romana hanno trovato riscontro pro­prio nella zona circostante la chiesa. Durante occasionali scavi vennero alla luce in prossimità dell'area un tempo conosciuta come San Donato, numerose asce di pietra di età neolitica. Alcuni anni dopo vennero esumati anfo­re lucerne, manufatti di metallo, vetro e terracotta. Questi straordinari reperti sono conservati nel museo Archeologico di Genova Pegli. Ma le sorprese non sono finite. Recenti scavi archeolo­gici hanno rivelato le sorprendenti trac­ce di un insediamento agricolo risalente all'epoca di Roma imperiale. Per man­canza di finanziamenti, la campagna si è arenata e oggi il sito non è visibile.

LA PITTURA
La pinacoteca di cui Cairo deve ancora dotarsi, la troviamo però all'interno del Santuario.
Vi si possono infatti ammirare gli ex­voto del grande paesaggista e ritrattista cairese Carlo Leone Gallo (1875-1960) sofferente che il pittore Domingo Motta (1872-1962) di Santuario ritrae nel 1954.
I quadri devozionali, la chiesa dona una trentina (altri si possono vedere presso il Santuario di Millesimo) svelano un aspetto conosciuto del Gallo, noto per l'incanto cromatico delle sue opere.
 
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Argenta, storia di una bonifica

Piste ciclabili, percorsi per birdwatcher, tanti centri visita e ora anche una fiera: l'area del delta emaano-romagnolo è senza dubbio tra le meglio organizzate del Paese. Unica nota stonata: la segnaletica, poco curata, specialmente per quanto riguarda i musei.

II delta del Po è senza dubbio uno dei luoghi migliori in Italia per vivere una giornata en plein air, specialmente in primavera.





Soltanto tra Ferrara e Ravenna sono decine le proposte per una gita in bicicletta tra lagune e canneti (bellissimo il percorso sull'argine del fiume Reno da Boscoforte a Volta Scirocco, con vista sulle valli di Comacchio) o per una passeggiata con il binocolo al collo: a Punte Alberete dove un magnifico bosco allagato è rifugio di aironi e usignoli.

Meno nota, invece, è la presenza di alcune strutture museali che arrichiscono e completano un weekend di sport e natura. Come a Mesola, ultimo borgo del ferrarese prima del confine con il Veneto, dove il Castello estense è sede di un itinerario espositivo davvero utile per capire il territorio.

Al piano terreno antiche mappe rivelano le forme assunte del delta nel corso dei secoli, al primo piano fotografie e testimonianze raccontanbo il viaggio del Po dalla sorgente alla foce; al secondo acquari e plastici del Centro di educazione ambientale offrono spunti preziosi per rconoscere gli ecosistemi dell area.

Ma è l'ecomuseo di Argenta, cittadina discosta dal mare, al confine tra le province di Fono, Ravenna e Bologna, a illustrare nel miglior dei modi il rapporto tra natura e cultura. Luoghi e musei narrano la storia dì una terra che è sempre vissuta a stretto contatto con l'acqua: acqua che un tempo le alluvioni del Po e del Reno riversavano su campi e paesi e che oggi è aspirata, trattenuta, incanalata grazie al lavoro di bonifica realizzato nei primi anni del Novecento.

Il cantiere idrovoro del Saiarino, tuttora funzionante e trasformato in uno splendido museo di archeologia industriale, parla della grandiosità di quei lavori e dell'incredibile complessità di un processo tuttora cruciale per la vita della regione: stupefacenti le pompe in ghisa, le stesse che Vittorio Emanuele III inaugurò nel 1925. e molto interessante la parte aperta nel 2002, che comprende le centrali che alimentano le idrovore.

Una volta usciti dal museo, il paesaggio circostante acquista un altro significato: si guardano con altri occhi i canali, gli argini, le chiuse, le valli (cioè gli specchi d'acqua).

Così, pedalando attorno a valle Santa e a valle Campotto, affollate da centinaia di uccelli, si ripensa alla funzione delle casse di espansione, i bacini dove vengono convogliate le acque in caso di piene troppo grandi per essere contenute negli argini. E visitando, a poca distanza dal Saiarino, il Museo delle valli di Argenta, dedicato alla storia e alla natura dell'area, si capisce che tutto — passato e futuro, uomini e animali — è legato a un unico filo.

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sabato 6 giugno 2009

Il Varazzino & Il Savonese: dicono che sin da Pavia si pensa al mare, sin da Alessandria si sente il mare

Il mare, che ha fatto della Liguria quella che è, che ha fatto dei liguri quelli che sono.

Quel mare cosi luminoso sotto il cielo limpidissimo dell'inverno, così abbagliante sotto il sole dell'estate. E dietro al mare le colline coperte di olivi e lecci, i monti verdi di pini e di faggi, le vette bianche di neve o grigie di rocce che chiudono l'orizzonte dei traghetti e delle grandi navi da crociera.... Perché il mare più bello è quello che ha colline, rocce, boschi e montagne alle sue spalle.

Ha una terra che gli rotola incontro, colorata dalle tinte vivaci e luminose delle case dei borghi e delle città della costa. Tutto questo lo troverete qui, in questo tratto di Liguria che va dai Piani di Invrea fino a Capo di Vado: un mare blu che riflette il verde dei boschi e della macchia mediterranea, lunghe spiagge calde, città e paesi dove i piaceri degli ozi estivi non fanno dimenticare le mille tracce della storia e dell'arte degli uomini.

Varazze

Le navi nella storia

Un porto turistico bianco di scafi sullo sfondo di montagne di rocce e pini marittimi: osservando Varazze dall'Aurelia si capisce perché i Romani la chiamasse ro ad Navalìa. Il nome Varagine, che aveva già nel 967 d.C., ha lo stesso significato: boschi ricchi di ottima legna per costruire scafi, una spiaggia adatta al varo delle navi, insomma, il legame tra Varazze e il mare è uno dei più solidi e antichi dell'intera Liguria. E i cantieri navali, i Baglietto soprattutto, hanno dato lustro a questa bella città fino a tutto il XX secolo. Quando ci si è accorti che il mare serve anche per fare il bagno, per ritemprare il corpo e lo spirito sotto il sole dopo un anno di cieli invernali, o per passeggiare sul fiorito lungomare di palme. Insomma, per le vacanze.

Così oggi le spiagge di Varagìne danno il benvenuto ai turisti che arrivano nella Riviera delle Palme per scoprire e godere il fascino del Mediterraneo. Non solo le spiagge, per la verità. Il primo benvenuto lo danno i varazzini stessi, i pescatori, gli albergatori, i contadini delle colline: una popolazione che accoglie ogni anno con amicizia tutti coloro che dal Piemonte, dalla Lombardia, dalla Germania, da tutta Europa qui giungono per trascorrere in serenità e divertimento le loro meritate vacanze, negli eleganti alberghi a quattro stelle come nelle pensioni familiari: perché la Riviera delle Palme è bella e ospitale tutto l'anno.

La storia di Varazze si legge anche nei bastioni medievali che la cingevano, ancora intatti nel loro versante settentrionale e che inglobano i resti della primitiva chiesa romanica di Sant'Ambrogio, testimone della presenza a Varazze della chiesa milanese nei secoli altomedievali; la nuova Sant'Ambrogio è invece cinquecentesca, ma il suo bel campanin russu è ciò che rimane di una vecchia chiesa lombarda romanico-gotica. Da non perdere anche la chiesa dei Santi Nazario e Gelso col sagrato a risseu (cioè decorato con ciottoli di fiume policromi che compongono bei disegni geometrici e marinari) e San Domenico, che conserva come un trofeo, conficcata nella facciata, la palla di cannone che nel 1746 gli fu sparata contro da una nave francese.

Feste e tradizioni
I santi e i pesci in "I una città di mare hanno più di un legame fra loro. Come San Donato, la " cui festa di agosto è dedicata a tutti i pescatori; i quali dicono la loro anche alla Sagra della melanzana ripiena e del pesce, sempre in agosto, nella località San Donato (appunto). Prima, il 30 di aprile, con una processione e un corteo storico si celebra una delle più antiche feste liguri, dedicata a Santa Caterina da Siena che passò di qui alla fine del 1300 e liberò la città dalla peste.

Un frate che sapeva raccontare
Il varazzino più famoso della storia nacque intorno al 1230, e fu battezzato col nome di Jacopo. Frate domenicano, divenne vescovo di Genova nel 1292, guadagnadosi buona fama coi suoi tentativi di alleviare le condizioni dei poveri cittadini, di riformare il clero, di pacificare le fazioni cittadine (erano i tempi dei Guelfi e dei Ghibellini). Ma siccome sapeva scrivere bene, la storia si ricorda di lui soprattutto per il Chronicon Januense, dove narra le vicende storiche di Genova dalle origini al 1295 e per la Legenda Aurea, che fu uno dei best-seller del Medioevo.

Vi si narra, in latino naturalmente, la vita di Gesù, della Vergine e di 149 Santi, e le vicende biografiche storiche dei protagonisti si mescolano a leggende fantastiche e ingenue, raccontate allo scopo di istruire i fedeli e metterli in guardia sui pericoli della dannazione infernale. Fu un successo strepitoso: la leggenda ebbe traduzioni in tutti i volgari dell'epoca, rimase per secoli una miniera di aneddoti e notizie sfruttate da predicatori e pittori, ed è ancora oggi uno dei libri più stampati della storia.

Cavalcare le onde
Per fare surf da onda non occorre andare sulle coste paclfiche della California ed aspettare i mercoledì da leoni. Venite a Varazze, e troverete onde e fondali per galoppare sulle creste in ogni stagione. Varazze è considerata tra le migliori tre onde del Mediterraneo. Il fondale roccioso a fianco del torrente Teiro offre onde lunghe, frangenti, onde corte e veloci... Per gli appassionati che scendono verso questo mare da mezz'Europa, Varazze ha sviluppato un'altra delle sue innumerevoli qualità turistiche.

Piani di Invrea
Una lunga passeggiata pianeggiante, dapprima asfaltata poi sterrata, che dal centro di Varazze segue il mare verso levante sino alla foce del torrente Arrestra, limite orientale della provincia di Savona. Le poche gallerie che a tratti rinfrescano il percorso ci ricordano che qui, sul Lungomare Europa di Varazze, passava la vecchia ferrovia, fra ciuffi di ginestre cariche dei loro bellissimi fiori gialli, boscaglie scure di lecci, veri signori della macchia mediterranea, il terrazzo sul mare che ospita il castello della famiglia Invrea, e l'occhieggiare discreto di qualche elegante villa moderna nascosta tra il verde dei Piani di Invrea.

La passeggiata invita a fermarsi ogni tanto per bagnarsi nel fresco tonificante del mare e per crogiolarsi al sole nelle spiaggette minime e solitàrie, dove non c'è posto per gli ombrelloni e dove gli arzigogoli degli scogli invitano all'intimità.
L'Aurelia divaga nascosta e tortuosa, la si scorge a stento, alta su questo tratto di costa veramente rocciosa del Varazzino, il più selvaggio, il più silenzioso.

Costruire navi è bene, ma poi bisogna imbarcarsi e navigare.
Ben lo sapeva Lanzarotto Malocello, varazzino del XIV secolo che navigando oltre le Colonne d'Ercole partecipò, forse nel 1312, alla scoperta (anzi, alla riscoperta, perché i Romani già le conoscevano) delle isole Canarie. Una delle quali, Lanzarote, si chiama cosi in suo onore.

Fra alberghi e campeggi
La tradizione turistica di Varazze è più che centenaria, e questa località offre ai turisti il meglio della Riviera delle Palme in termini di ricettività alberghiera e strutture balneari e sportive, in tutto ciò favorita da condizioni climatiche eccellenti in ogni stagione dell'anno, con temperature medie che vanno dai 9 gradi di gennaio ai 25 di agosto, mentre il mare raggiunge nei mesi estivi la temperatura di 26/27 gradi.

Può sembrare incredibile che in questa piccola città veramente "a misura d'uomo", priva del caos un po' alienante dei grandi centri urbani, ci siano più di cento alberghi, di tutte le categorie, dagli eleganti quattro stelle alle pensioni familiari. A cui vanno aggiunte tutte le altre strutture ricettive, dai parchi per le vacanze, ai campeggi per tende e caravan, agli agriturismi ai residences, alle camere in affitto.

Non si rischia di dover dormire "on thè road", a Varazze! Le strutture ricettive sono molte perché molti sono coloro che amano trascorrere qui le loro "ferie": negli ultimi anni del millennio appena terminato Varazze ha offerto ospitalità ad almeno 600.000 turisti italiani e stranieri ogni anno! Molti dei quali sono dei fedelissimi, che tutte le estati tornano nella "loro" Riviera. I primi a trascorrere le loro vacanze da queste parti furono, nel Settecento, i nobili genovesi cui seguirono i piemontesi: vale la pena sapere che uno dei primi ospiti "foresti" della spiaggia di Varazze fu il principe Tommaso di Savoia, e che il primo stabilimento balneare della città venne aperto nel 1887 e fu intitolato alla Regina Margherita. Allora chi poteva permettersi il lusso di una vacanza al mare non aveva certo problemi di esodi e controesodi, e il soggiorno marino durava almeno un mese.

Tutti al mare, tutti al mare...
L'offerta di strutture per la balneazione non è meno ricca di quella alberghiera: sono più di quaranta gli stabilimenti balneari che attrezzano le spiagge varazzine, dalle scogliere dei Piani di Invrea al lungomare del centro città. Per chi non ama le lunghe ore di ozio sotto l'ombrellone non c'è che l'imbarazzo della scelta: praticamente tutti gli sport acquatici sono praticabili nel mare di Varazze: dalla canoa allo sci nautico (c'è un'apposita scuola).

Della più recente passione, il surf, si è già detto, ma ottimi sono ancho i centri sub con le loro scuole; i circoli di pesca sportiva, por non dire del Varazze Club Nautico, che vanta ormai più di 80 anni di attività, o della scuola di vela della Lega Navale Italiana. Il porto turistico, a ponente, tra i Cantieri Navali Baglietto e la Punta Aspera, ha una capienza di oltre 300 posti barca.

Mens suna in corpore sano
Chi intende la vacanza come un'occasione per rinvigorire il proprio lisico ha pane per i suoi denti. Fuori dal mare, sulla terraferma, si può frequentare il centro di equitazione e imparare il salto a ostacoli; affittare una mountain bike e salire le strade e i sentieri che si arrampicano sulle colline dell'entroterra; camminare lungo la nuova passeggiata che collega Varazze a Celle a ridosso delle scogliere che sovrastano il porto turistico, o sul Lungomare Europa a levante che si snoda per 5
chilometri tino a Cogoleto.

O ancora dedicarsi all'atletica, al tennis, alla pallavolo e alla pallamano, alle arti marziali, alle bocce, al minigolf o al pattinaggio nel moderno Palazzetto dello Sport sito proprio nel centro città. I più, come dire... narcisi, troveranno nelle palestre gli attrezzi necessari per la cura del loro corpo. Infine chi ama "volare oh oh!" può scoprire la Liguria a volo d'uccello, frequentando la scuola di parapendio o sfarfallando tra Portofino e Montecarlo a bordo di aerei da turismo partendo dall'aeroporto di Villanova d'Albenga.

Varazze by night
Se Varazze è giustamente conosciuta per il suo splendido mare e la sua lunga spiaggia è altrettanto conosciuta per essere la città del divertimento notturno.

I suoi dancing ancora oggi sono il punto di riferimento di tutti coloro che amano il ballo, dal liscio al latino americano, dal rock al merengue.

Durante l'estate vengono organizzati spettacoli con le migliori orchestre e cantanti internazionali che richiamano appassionati da tutta la Liguria.

Viva le donne, viva le belle donne...
Sempre; ma l'8 marzo di più. In primavera a Varazze si organizzano spettacoli, mostre, sfilate di moda, eventi culturali, manifestazioni sportive, tutti dedicati alle donne. E siccome a dame e donzelle è d'uopo dedicare serenate d'amore, ecco il Festival Internazionale del Mandolino, che a dicembre richiama maestri e appassionati da ogni dove.

Il Deserto di Varazze

Uno legge Deserto e pensa a paesaggi aridi e desolati, il sole che batte implacabile. No no, siete fuori strada! Questo deserto, il Deserto di Varazze, è tale solo perché poco abitato. La valle dell'Arrestra si raggiunge salendo da Varazze verso Casanova, e ancora più su lungo i tornanti che arrancano sul versante a mare del Beigua. È un luogo di una bellezza selvaggia, cupo di lecci e di allori, un trionfo della macchia mediterranea, dove è bello vagare a piedi o a cavallo, immergersi nei suoni silenziosi della natura.

Anche in macchina, va boi io, per i più pigri... L'eremo del Deserto trasuda spiritualità e offre ai visitatori i suoi prodotti naturali e un interessante percorso botanico. Ma non si può tornare sulla costa senza aver vagato per le stradine carrozzabili e pedonali dei boschi delle Faie e di Alpicella, senza aver goduto del panorama della Madonna della Guardia, senza aver raggiunto l'antica chiesa altomedievale al Parasio San Donato, col castrum, senza aver percorso i sentieri archeologici e il ponte saraceno.

Il Monte Beigua: le montagne rocciose della Liguria

Si chiama Beigua il monte che protegge da nord il mare di Varazze: è una montagna certo non altissima, nemmeno 1300 metri, ma maestosa di rocce e boschi come una cima alpina. Foreste di faggi e roveri, verdissime d'estate e coperte di neve d'inverno, coprono le valli a nord dello spartiacque padano, su fino ai crinali aridi dove la tramontana terge l'aria offrendo alla vista del fortunato viandante Genova stretta e lunghissima, le Alpi e la Corsica, mentre con lo scirocco sale una nebbia in grado di suscitare tutte le possibile emozioni cantate da Lucio Battisti.

L'intreccio di foreste, valli, prati, paesi e cascine che circondano il Beigua è protetto da un parco naturale regionale, che vuole tutelare una natura di tanto valore anche perché così vicina alla costa più abitata. Scorci quasi di montagne rocciose a cinque chilometri dal mare e a meno di un'ora d'auto da Genova.

Camminando in questi boschi, osservando l'immenso panorama che si offre a chi percorre l'Alta Via dei Monti Liguri, guidando piano lungo queste strade, nuotando nelle acque freschissime e limpide di questi torrenti è facile rendersi conto della ricchezza che possiede Savona, la provincia italiana con la maggiore copertura forestale (quasi il 60% della sua superficie). Un patrimonio di natura e di salute da difendere e conservare a tutti i costi.

Artisti di altre ere
L'aspetto selvaggio del vasto massiccio del Beigua, fitto di foreste, aiuta a ritrovare quella comunione spirituale con la natura che la vita di città porta a dimenticare ma che è intima ed essenziale alla vita umana. Nulla di strano dunque che questa sia stata una delle tre montagne "sacre" dei Liguri preistorici. Nei secoli prima dell'era cristiana i pastori transumanti hanno inciso le rocce, hanno disegnato figure umane stilizzate, simboli geometrici, forse mappe topografiche, con tratto elegante e ricchezza di simboli.

È il versante meridionale del monte, intorno al borgo di Alpicella, la zona più ricca di questi antichissimi capolavori d'arte. A fianco e insieme alla Preistoria, però, ci sono anche le croci cristiane incise dai pastori altomedievali. Quale sarà stato il vero significato di quei segni, ormai non si può sapere. Ma si può pensare che in ogni epoca storica gli uomini che si trovano da soli nella natura avvertano più intensamente i sentimenti che li legano ai loro simili e a Dio; questi segni probabilmente sono parole verso la terra e preghiere verso il cielo.

Lassù nei verdi pascoli
Chi volga lo sguardo verso nord dalla cima del Beigua vedrà una serie ondulata di colli e valli: fra i boschi e i prati, le macchie rosse e bianche dei paesi, spicca Sassello, fregiato con la Bandiera Arancione, simbolo del premio di qualità per il turismo dell'entroterra istituito dal Touring Club Italiano. Raggiungibile da Varazze e da Albisola, forse di origine preromana, fu distrutto dai Saraceni nel medioevo, poi i Doria lo vendettero a Genova.

Domina un altopiano fresco e ventilato in estate, ricco di funghi, cacciagione o castagne in autunno. Nel medioevo si lavorava il ferro dell'isola d'Elba, che giungeva qui trasportato per nave e a dorso di mulo. Di quelle epoche restano le case del borgo vecchio, diviso tra la Bastia Soprana del XII secolo e la Bastia Sottana creata dai Doria nel '400, e la processione del Venerdì Santo, quando i muri delle case sono coperti di frasche e le strade di quadri composti da fiori e foglie di acacia

Non ci sono solo i funghi e i frutti dei vasti boschi appenninici a soddisfare le turistiche acquoline di chi sceglie Sassello per la villeggiatura: qui ci si può (anzi, ci si deve!) ingolosire di amaretti. Piccoli, rotondi, granulosi, bruniti ! gioielli dei forni locali; incartati uno a uno perché non perdano fragranza, sono chiamati "amaretti". Beh, è vero, non ci sono solo qui: la produzione di amaretti e di canestrelli è vanto di numerosi paesi |dell'Appannino Ligure, ed ognuno sostiene la superiorità dei propri. Però quelli di Sassello sono molto famosi per morbidezza e delicatezza di gusto.

Un fiume per nuotare
Per raggiungere la valle del torrente Orba, si può salire sia da Albisola, lungo la statale del Giovo, Sassello e la provinciale per Palo e Urbe, sia da Varazze verso la cima del Beigua e poi giù fra i boschi di Pra Riundo e Piampaludo, affiancando il laghetto morenico di Laione, forse unico in Liguria.

Non c'è niente di meglio per spezzare una lunga vacanza di mare che un giorno tra le acque di questo torrente quasi alpino, amato dai liguri della costa per la sua limpidezza, il fresco delle sue rive boscose, i laghetti dei suoi affluenti dove è bello tuffarsi e sguazzare nei caldi giorni di agosto. L'Orba risale le frazioni del vasto comune di Urbe, che conserva nel nome il ricordo della presenza romana.

La marca aleramica
II torrente Erro scorre verso il Piemonte a ovest di Sassello, oltre i limiti occidentali del Parco del Beigua. Sono terre di boschi e campagne, i cui abitanti per secoli hanno tratto da vivere dallo sfruttamento del legname, ottimo per costruire le navi della Repubblica di Genova nei cantieri di Varazze e della costa savonese. Pontinvrea fu feudo dei marchesi Invrea: il seicentesco Palazzo Marchionale è ancora ben conservato. Nella longobarda Giusvalla e a Mioglia, quasi al confine col Piemonte, sono invece pochi i resti di quei castelli che videro lotte e battaglie fra Genova e i marchesi Aleramici del Monferrato per il possesso di questi boschi pregiati.
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venerdì 15 maggio 2009

Tra le brume della Langa

II fuoco del camino crepita piano men­tre all'orizzonte il sole incendia, con i suoi bagliori fantastici, i boschi di castagni. La pianura lentamente si oscura, soffusa da una nebbia azzurrina, e la notte scende dai profondi calanchi.

Nella sua bella casa sulle colline di Cortemilia, nell'Alta Langa, lo scrittore Renzo Barbieri mostra il volumi­noso manoscritto del libro che ha appena terminato di scrivere. "Per il mio ultimo ro­manzo ho tratto ispirazione da questa terra piena di contraddizioni, in cui la memoria del passato e gli stereotipi del gramo vivere contadino si intrecciano con la prelibatezza della cucina d'antan e con una speranza, confusa, ma vitale, per il futuro".

Comincia con questa conversazione l'itinerario goloso nell'Alta Langa: 43 Comuni spesso dimenti­cati da chi si occupa della "bassa" Langa, quella più conosciuta, con Alba capitale. L n territorio che può sembrare a tratti sel­vaggio, sicuramente dispensatore di miti suggestivi, come quello tutto letterario della fontana dello Scorrone, nella montagna di Castino, proprio in fronte all'abitazione di Barbieri. "Passavo allo Scarrone (così la chiama Pavese), a mezza costa per Castina - qualche casa, niente di più -, ma allo Scar­rone c'è la fontana dell'acqua igienica - Ma-sin non seppe mai perché - e venivano fin da Alba o da Asti in comitiva per berne. Quel che stupisce è die nessun albergatore abbia, mai pensato di farci l'Hotel nella pe-nombra di quegli alberi enormi che sovra­stano lo spiazzo".
funghi porcini e ovoli in abbinamento con patè di tonno

La fontana esiste ancora, anche se è una struttura moderna in ce­mento che ha modificato i caratteri origina-ri. Si trova a sinistra della borgata di Scor­rone. Il ristorante accanto alla fonte ora è stato costruito; fortunatamente, come au­spicava Pavese, è una tranquilla osteria di campagna che propone tutt'oggi menu tipici della tradizione langarola (Tratto­ria Scorrone, via Scorrone 64, telefono 0141/88 f 17, chiuso il martedì sera e mer­coledì).

A gestirla è Bruna Gallo, che non manca di rispettare la consuetudine con un'apertura a tutto antipasto, proseguendo poi con i buoni tajarin e gli immancabili ravioli al plin (cioè al pizzicotto, perché con questo gesto tradizionalmente se ne fermano le estremità); secondo la disponi­bilità ci sono sempre cacciagione, funghi e tartufi.

Per arrivare a Castine ("... è un paese sempre battuto da un vento frizzan­te e di là si vedono fiumi lontani, piccini, nei vapori. Verso sera specialmente, pare di essere in cielo"\ scrive Pavese nel suo "Ciau Masino"), centro di intensa vita religiosa nel Medioevo tanto da meritare menzione in diverse bolle papali, bisogna risalire da un paio di chilometri.

Vale la pena di recarsi al monastero del XV seco­lo, di fronte alla chiesa parrocchiale, il più importante dei tre che anticamente appartenevano al Comune. Merita anche una piccola deviazione "sen­timentale" la visita della cascina Pavaglio-ne, nella contrada di San Bovo, scelta da Fenoglio per ambientarivi il suo romanzo più famoso: "La Malora".

Prima di imboccare la discesa tutta curve verso Cortemilia, anticamente il più potente e antico paese delle Langhe, sarà bene fermarsi per una sosta golosa agli alimentari "Vola" (via Na­zionale 6, telefono 0173/84045). Quasi na­scosti fra forme di pane e scatole di pasta secca, è qui che si trovano i deliziosi ravio­li al plin che Roselda e Pierà producono giornalmente nel loro laboratorio, tirando la pasta rigorosamente a mano.
una distesa di vigneti

La ricetta è quella codificata dalla mamma Giuseppina, che prevede fra gli ingredienti carne di maiale, di vitello e verdure di stagione. Raggiunta Cortemilia, che come rivela il dialetto piemontese Curt-miia prende il nome da "corte di Emilio" (Scauro), con­sole romano che combattè le antiche po­polazioni liguri dei Stazielli Statellati, l'e­sperienza di "andar per langa" si fa più in­trigante.

Il panorama di fondo valle, dietro le divagazioni del torrente Uzzone, espri­me scorci paesaggistici veramente emozio­nanti. La cittadina fu nodo cruciale di una delle più importanti "vie del sale", percor­se dai commercianti che dalla Liguria risalivano le valli, su, su fino a Torino per scambiare sale, acciughe e pesci con vino e formaggi, e oggi si rivela un'insospettabi­le miniera di spunti da approfondire.


Cele­brata "regina delle Langhe" e incoronata più recentemente "capitale della noccio­la", quella a denominazione d'origine "tonda e gentile" cui è dedicata una intera settimana di festa a fi­ne agosto, era antica­mente una struttura difensiva distribuita su cinque fortificazio­ni.

Di tutto ciò non rimane che un tratto di mura e una torre smozzicata che sovra­sta e domina i due borghi divisi dal Bormida: San Michele, sulla riva sinistra del fiume, e San Panta-leo. Migliore sorte è fortunatamente tocca­ta alla chiesa della Madonna della Pieve, costruzione a un'unica navata e abside se­micircolare, originaria dell'XI secolo, che tradizione vuole ospitasse S. Francesco d'Assisi nel suo viaggio in Francia e recen­temente restaurata per riportare nella giu­sta luce le decorazioni di gusto barocco.
i formaggi della zona

Anche dal punto di vista enogastronomico Cortemilia offre numerosi spunti di inte­resse. Un percorso ideale può cominciare dall'"Enoteca Rossello", che, arrivando da Castino, si incontra sulla sinistra prima di imboccare il rettilineo che porta al ponte sul Bormida (strada per Castino, telefono 0173/81349, dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18). Oltre ai vini di Langa (Roero Arneis, Favorita, Dolcetto, Barbera, Grignolino, Nebbiolo, Barbaresco e il "re" Barolo), al suo interno ospita un angolo alimentare dove è possibile scegliere fra varie specia­lità. Solo per citarne alcuni: torte casalin­ghe alla nocciola, prelibatezze in vasetto (funghi e tomini tartufati sott'olio, cagna di mostarda d'uva, burro con acciughe e tar­tufi), salami (tradizionali, sott'olio, al Baro­lo e all'immancabile tartufo).

La bianca presenza del tartufo
Non è un caso che il tartufo sia così pre­sente. Quello dell'Alta Langa, bianco come quello di Alba e - dicono con una punta di orgoglio campanilistico i "trifolao" altolan-garoli - più profumato di quest'ultimo, è u-na costante della cucina tradizionale in au­tunno. E non solo di questa. Nella sua di­stilleria familiare, Sergio Castelli (corso Lui­gi Einaudi 55, telefono 0173/81093) lo usa addirittura in infusione per aromatizzare u-na piccola partita di grappa che produce prevalentemente a uso dei turisti tedeschi e svizzeri. "Ha un profumo molto intenso e il prezzo di vendita" - confessa - "è compren­sibilmente elevato".

Da Castelli si possono trovare, però, anche le grappe più tradizio­nali, da quella Bianc & Nai (bianco e nero, da vinacce nere di Dolcetto e bianche di Arneis) alla Branda (da vinacce delle mi­gliori annate di Barolo, 55°), senza dimenti­care quelle monovitigno, fra cui una - in­trovabile - di Pelaverga, piacevolmente sec­ca e profumata. La grappa di Castelli si può gustare anche comodamente seduti, dopo pranzo, nel migliore ristorante di Cortemi­lia, il "San Carlo" (corso Divisioni Alpine 41, telefono 0173/81546, chiuso il lunedì), che è anche un confortevole albergo a tre stelle. Carlo Zarri, aiutato in sala dalla mo­glie Paola, e sua sorella Consuelo, in cuci­na, propongono piatti langaroli rivisitati creativamente, serviti con cura e accompa­gnati dai vini d'annata dei più qualificati produttori piemontesi.

In questa stagione, però, vale forse la pena di affidarsi al più tradizionale menu degustazione che gli Zarri preparano appositamente in onore del tartufo bianco e in cui non mancano anche piacevoli sorprese che introducono alla riscoperta di una cucina in via di estin­zione. Come le caratteristiche Jrizze, realiz­zate con un impasto a base di fegato di maiale e cervella di vitello, rosolate in olio
una cascina a San Bovo


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