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mercoledì 22 dicembre 2021

Il Parco del Ticino e Lago Maggiore, aree prottete di un parco in soccorso della biodiversità.

Il Parco del Ticino e Lago Maggiore.

Che cosa hanno in comune le pecore Saltasassi e Savoiarda con le capre Sempione e Vallesana? E cosa c'entra con loro il Parco del Ticino e Lago Maggiore? Andiamo alla scoperta di un ambizioso progetto ideato dall'Ente parco che si propone di salvaguardare la sopravvivenza delle razze autoctone altrimenti minacciate di estinzion.

Lo scorso 5 agosto l'Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del Lago Maggiore ha pubblicato un avviso per la ricerca di un potenziale gestore di aree e immobili presso la tenuta Montelame, sita nel Comune di Pombia (NO). Obiettivo principale dell'Ente Parco è la creazione di un centro per la conservazione della biodiversità e la salvaguardia di razze italiane rare in via di estinzione, il primo in Italia all'interno di un Parco Naturale Regionale.

Salvare le razze in pericolo tutelando il territorio.

 La salvaguardia della biodiversità genetica è uno degli scopi istitutivi delle aree protette. In Italia l'esempio realizzato più noto è quello del Parco Nazionale dell'Asinara, che ha tra i suoi obiettivi la salvaguardia della locale razza di Asino albino. Attraverso progetti specifici i parchi possono dunque contribuire a salvare le razze locali a limitata diffusione e, contemporaneamente, possono gestire ambienti naturali di grande interesse grazie al pascolamento degli animali domestici. Le strategie di conservazione messe in atto sinora non sono però risultate sempre efficaci nel rallentare l'estinzione delle razze autoctone che, a livello mondiale, stanno scomparendo al ritmo di due alla settimana (dati FAO 2011). 

Le tecniche di conservazione delle razze a rischio possono essere in situ (allevamento di una razza a fini produttivi nel suo agro-ecosistema di origine) ed ex situ (gli animali sono allevati in aree diverse da quelle tipiche). Le tecniche ex situ sono uno strumento potente e sicuro soprattutto per la salvaguardia delle risorse genetiche animali a forte rischio di estinzione, o per le quali non sussistono momentaneamente le condizioni per una loro salvaguardia nell'area di origine.
Il progetto Centro Razze

"In Italia esistono allevamenti di razze autoctone che hanno finalità sia produttive che di salvaguardia ma non esistono ancora strutture pubbliche con finalità assimilabili a quelle del Centro Razze che si vorrebbe creare presso la Cascina Montelame, cioè dedicate esclusivamente alla selezione, riproduzione e restituzione agli allevatori di animali appartenenti a razze autoctone italiane a rischio di estinzione" spiega Riccardo Fortina, Professore presso il DISAFA (Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell'Università degli Studi di Torino) e Consigliere dell'Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del Lago Maggiore. 

Il progetto.

"Il progetto – prosegue Fortina - intende contemperare la conservazione della biodiversità zootecnica con la ricerca scientifica e le finalità educative, ed era già stato oggetto di un avviso pubblicato dalla precedente amministrazione che non aveva però trovato grande riscontro, forse anche per via delle condizioni inizialmente richieste."

"L'avviso attuale sta invece avendo positivi riscontri" conferma Monica Perroni, responsabile del Settore Tecnico dell'Ente di gestione delle Aree protette del Ticino e del Lago Maggiore. "Ad oggi sono diverse le manifestazioni di interesse, pervenute prevalentemente da aziende ed associazioni: un ottimo risultato se si pensa che la scadenza ultima era stata fissata al 1° ottobre, tanto che  l'Ente è intenzionato a prorogare il termine al fine di poter coordinare e meglio organizzare i sopralluoghi, le cui richieste ad oggi superano la trentina, e che riguardano tutta la zona oggetto dell'avviso, vale a dire - oltre alla Cascina Montelame - anche 200 ettari circa di terreni a carattere boschivo e agricolo. Inoltre ci piacerebbe recuperare in futuro altri due immobili, la Cascina Casone e il Mulino Simonetta, che versano però in condizioni degradate e dunque richiedono importanti lavori di ripristino".

"Tra gli aspetti del progetto che sono stati approfonditi c'è quello della autosostenibilità finanziaria" prosegue ancora Fortina. "E' previsto che i futuri gestori potranno svolgere altre attività che producano utili, come un maneggio ippico o l'allevamento di bestiame a scopo commerciale. La finalità principale del Centro Razze, è bene specificarlo, non è infatti quella di generare guadagni ma piuttosto di garantire la conservazione del germoplasma animale. In quest'ottica è ipotizzabile, ad esempio, che la restituzione agli allevatori dei riproduttori delle razze conservate potrà avvenire a titolo gratuito" .

I gestori.


I gestori avranno inoltre la possibilità di svolgere attività agricola, coltivando e conducendo i terreni in conformità alle regole del Parco, utilizzando le materie prime del luogo, anche per prodotti tipici dell'area, con la possibilità di mettere in campo buone pratiche agricole e modelli virtuosi. L'area è particolarmente adatta all'allevamento di cavalli e asini - può contare su alcune strutture già esistenti e destinabili a scuderie, maneggio e ricovero - e alla promozione di attività educative e di ippoterapia.

Sul sito del parco, oltre al testo dell'avviso e ai relativi allegati - come cartografie e foto della zona in oggetto – è disponibile un dettagliatissimo studio di prefattibilità realizzato dalla Cooperativa Eliante Onlus con cui si prefigurano gli scenari futuri, gli aspetti economici e il cronoprogramma, e si fornisce ogni altra indicazione utile per lo sviluppo del progetto.
Le razze a rischio che potranno essere ospitate

Nella fase di avviamento del Centro Razze, a seconda delle caratteristiche del conduttore che si aggiudicherà l'incarico, si prevede l'allevamento di piccoli ruminanti (capre e pecore), che sono di più facile gestione rispetto ai bovini e ai suini, oppure di asini e cavalli. I terreni e le strutture, tuttavia, potranno essere destinate in futuro anche ad altre specie, adottando idonee tecniche di allevamento nel rispetto dei limiti e dei vincoli imposti dalla normativa vigente e dagli obiettivi di conservazione dell'Ente Parco.

"Inizialmente il progetto ipotizza l'allevamento di 4/5 razze italiane di asini o cavalli a limitata diffiusione, o il recupero di un 5/6 razze ovi-caprine che abbiano una consistenza numerica critica o minacciata secondo la classificazione FAO e che provengano dal Piemonte o da altre regioni del Nord Italia" spiega ancora Fortina. "Tra quelle piemontesi ci sono la pecora Savoiarda camera-2112207 960 720 con circa 100 capi superstiti - e la Saltasassi camera-2112207 960 720, di cui restano circa 30 capi nelle province di Novara e Verbania. Fra le capre, la Sempione camera-2112207 960 720, con una trentina di esemplari, e la Vallesana camera-2112207 960 720, di cui vivono ancora poche decine di capi. Fra quelle di altre regioni vi sono la pecora lombarda Ciuta camera-2112207 960 720, che costituisce la più piccola razza ovina dell'arco alpino, e la Capra Orobica camera-2112207 960 720, proveniente dalle Alpi Orobiche, dove ne vivono ancora poche centinaia di capi" conclude Fortina.

A Cascina Montelame verranno ospitati, nel caso dei piccoli ruminanti, fino a 10 capi per ciascuna razza (possibilmente 2 maschi e 8 femmine). OItre a preservare e a incrementare il numero di riproduttori puri, il Centro Razze svogerà anche il compito di fare attività di selezione e di recupero delle caratteristiche originarie delle popolazioni meticciate, grazie al sostegno e al supporto scientifico e tecnico di ricercatori universitari e di personale specializzato.

In futuro potranno essere ospitate anche altre razze autoctone, come il Cavallino di Monterufoli, il Bardigiano, il Murgese o il Pony di Esperia, o razze di asini come l'Amiatino e il Ragusano, o altre pecore, come la rarissima Garessina, o le capre Fiurinà, Frisa e Bionda dell'Adamello.
 
Per quanto riguarda il futuro maneggio, infine, lo studio di prefattibilità immagina che possa ospitare cavalli sportivi "non DPA" (cioè non Destinati alla Produzione di Alimenti), vale a dire animali al termine della loro carriera agonistica. La loro gestione, infatti, è uno dei maggiori problemi che investe i proprietari, che devono farsi carico degli animali garantendo loro una dignitosa pensione. Anche in questo caso, quindi il parco svolgerebbe una funzione utile che ben si inserisce nelle sue finalità.

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venerdì 19 novembre 2021

Riaperta la Via del Sale la più bella strada bianca d'Europa per auto, moto, quad, ciclisti, escursionisti e cavalieri.

  

Riaperta la Via del Sale la più bella strada bianca d'Europa.

Riapre "la più bella strada bianca d'Europa" con un calendario di giornate dedicate all'accesso ai mezzi a motore dietro pagamento di un ticket d'ingresso e altre riservate alla fruizione "slow" a piedi e in bicicletta.

La circolazione sulla rotabile sterrata, che importanti testate giornalistiche hanno definito la più "bella strada bianca d'Europa", è regolamentata: 80 auto e 140 moto o quad al giorno, e martedì e giovedì di "silenzio" in cui l'accesso è solo per ciclisti, escursionisti e cavalieri.

Questo perché l'Alta Via del Sale si sviluppa in buona parte attraverso aree protette della Rete Natura 2000 (ZPS Alpi Marittime, Alta Valle Pesio e Tanaro e Marguareis – Ubac de Tende à Saorge). Un territorio straordinario dal punto di vista paesaggistico e naturalistico che l'Europa ha raccomandato di custodire in quanto unico.

Le norme più importanti da osservare.


Tre le norme più importanti da osservare da parte degli utenti il divieto di compiere percorsi fuoristrada, parcheggiare su prato, accendere fuochi a terra, abbandonare rifiuti e utilizzare il drone, salvo nei casi espressamente autorizzati dall'Ente.

La vigilanza del rispetto delle norme di conservazione è affidata alle forze dell'ordine, alla polizia locale e nel territorio italiano ai guardiaparco dell'Ente Aree Protette Alpi Marittime che ha in gestione le ZPS Alpi Marittime, Alta Valle Pesio e Tanaro e Marguareis.

Nel 2021 la rotabile d'alta quota sarà percorribile dai mezzi a motore (esclusi i martedì e giovedì) da sabato 19 giugno a domenica 12 settembre, dalle 8 alle 20 (ultimo ingresso ore 18) e poi da lunedì 13 settembre sino alla chiusura del 17 ottobre dalle 8 alle 18 (ultimo ingresso ore 16).
Il ticket per i mezzi motorizzati è di 15 euro.

Per tutte le regole di accesso, le giornate di apertura, orari, tariffe e per prenotare l'ingresso, il consiglio è quello di visitare l'aggiornatissimo sito internet.

 Le vie del sale erano gli antichi percorsi e rotte di navigazione utilizzati anticamente dai mercanti del sale marino.

La via del sale che unisce le saline di Trapani a quelle dello Stagnone di Marsala.


Non esisteva un'unica via del sale: i vari popoli (emiliani, lombardi, piemontesi, abruzzesi, friulani e siciliani) avevano ognuno la propria rete di sentieri e collegamenti per portare le merci, principalmente lana e armi, verso il mare e recuperare lì il sale, allora prezioso per la conservazione degli alimenti nel lungo periodo. La produzione di formaggio e di insaccati, la conservazione della carne, del pesce e anche delle olive necessitavano di elevate quantità del pregiato elemento. Ma anche attività artigianali come la concia delle pelli e la tintura richiedevano l'uso di sale.

Mettendo in comunicazione la pianura padana con la Liguria o i territori francesi della Provenza si permetteva il commercio di questo materiale prezioso, che era di difficoltoso reperimento nelle regioni del Settentrione, lontane dal mare.

Lo stesso dicasi per il commercio in altre regioni, o aree geografiche, tra le coste ove il sale era prodotto e le zone interne dove il bene era richiesto.

Fonte.

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venerdì 15 ottobre 2021

Parco naturale di Marcarolo, conosciamo meglio il Rinolofo maggiore simbolo della conservazione delle ex miniere d'oro.

 


Conosciamo meglio il Rinolofo maggiore, pipistrello simbolo della conservazione delle ex miniere d'oro del Parco capanne di Marcarolo. 

Un massimo di 14 individui nella Miniera d'oro M2 in Valle Moncallero. Questi i dati raccolti, lo scorso inverno, dai guardiaparco del Parco naturale di Marcarolo sul Rinolofo maggiore o ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum): una specie di pipistrello, dunque, diffusa seppure non abbondantissima, per questa area naturale.

Rinofolo maggiore è il più grande rappresentante della famiglia dei Rhinolophidae con un lunghezza testa-corpo di 56-71 mm, un'apertura alare che può arrivare a 40 cm e un peso fino a 34 grammi. E' un animale sedentario tanto che la distanza tra il rifugio estivo e quello invernale solitamente è compresa tra i 20 e i 30 chilometri.

La caratteristica della specie sono le orecchie grandi con apice acuto e l'assenza del trago, la sporgenza che delimita il foro auricolare opposta al padiglione.

La peculiarità dei Rinolofi però è sicuramente la complessa struttura nasale a forma di violino nella quale sono presenti tre parti distinte: una inferiore, a forma di ferro di cavallo, dalla quale deriva il nome scientifico, che copre il labbro superiore e circonda le narici; una superiore appuntita, detta lancetta, attaccata soltanto alla sua base ed appiattita frontalmente e una intermedia, detta sella. E' dal naso che emette gli ultrasuoni per localizzare le prede e orientarsi nel buio più assoluto. I suoi caratteristici impulsi sonori sono a lunga durata e frequenza costante di 77-83 kHz.

Il Rinolofo maggiore ha una colorazione variabile ma generalmente è marrone chiaro sul dorso e più chiaro sul ventre.

La riproduzione avviene nel periodo dalla fine dell'estate alla primavera dell'anno successivo in territori riproduttivi adatti. Tra giugno e luglio la femmina, dopo una gestazione di 72 giorni, partorisce un solo cucciolo inetto (raramente due) che pesa circa 5-6 grammi; il piccolo aprirà gli occhi dopo 7 giorni di vita, imparerà a volare dopo 4 settimane e sarà indipendente a 7-8 settimane.

Negli spostamenti all'interno del rifugio i piccoli rimangono aggrappati al corpo della madre. Una curiosità è la presenza nelle femmine di due false mammelle, situate nella parte bassa del ventre, le quali servono al giovane per attaccarsi fortemente alla mamma; quando invece gli adulti vanno all'esterno per la caccia, i piccoli rimangono appesi al soffitto.

Durante le fasi di riposo i rinolofi infatti si appendono nella classica posizione a testa in giù avvolgendosi più o meno completamente nella membrana alare con la coda ripiegata sul dorso.

Il Rinolofo maggiore predilige le zone calde e aperte con alberi e cespugli prossime ad acque ferme o correnti, anche in prossimità di insediamenti umani; trova rifugio estivo in fessure dei muri, alberi cavi e grotte ma svernano in cavità sotterranee con temperature tra i 7°C e 12°C.

Le aree di alimentazione sono situate anche in zone con copertura arborea e arbustiva e l'individuazione della preda può avvenire, oltre che in volo, anche da terra a discapito di Lepidotteri, Coleotteri ed altri invertebrati.

Lascia i rifugi all'imbrunire per cacciare con volo "farfalleggiante", piuttosto lento e solitamente basso (da 30 cm a 6 metri dal suolo).

Studiare i chirotteri in miniera

Le abitudini notturne, la difficile individuazione dei posatoi, la difficoltà di determinazione delle specie e la loro ampia diffusione, rende difficile ogni operazione di monitoraggio di questi animali. Inoltre, le loro vocalizzazioni, non percettibili dall'orecchio umano, sono identificabili solo con appositi strumenti, i bat-detector.

L'Ente di gestione delle Aree protette dell'Appennino piemontese ha inoltre intrapreso concrete azioni di conservazione rivolte agli ambienti sotterranei che ospitano le specie di chirotteri di maggior valore conservazionistico a livello europeo. Nel 2019 sono state messe in sicurezza quatto miniere nella Valle del Gorzente, all'interno del Parco naturale di Capanne di Marcarolo, mediante l'installazione di appositi cancelli a barre orizzontali che consentono l'accesso ai chirotteri e ad altra fauna troglofila (es. Geotritone Speleomantes strinatii, anch'essa specie protetta la cui conservazione richiede l'istituzione di Zone Speciali di Conservazione).

Nel 2019 ha poi recuperato e messo in sicurezza le Miniere M1, M2, M3 e M13 situate nella Valle del Gorzente, all'interno del Parco naturale di Capanne di Marcarolo, mediante l'installazione di appositi cancelli a barre orizzontali che consentono l'accesso ai chirotteri e ad altra fauna troglofila (es. Geotritone Speleomantes strinatii, anch'essa specie protetta la cui conservazione richiede l'istituzione di Zone Speciali di Conservazione).

Le miniere "M1" e "M13" sono state messe in sicurezza nella parte iniziale del loro sviluppo nell'ambito del Progetto di valorizzazione e gestione dei siti Minerari che ha previsto anche la possibilità di accesso ai visitatori secondo un protocollo di fruizione che tiene conto scrupolosamente degli obblighi comunitari in materia di conservazione delle specie e degli habitat: l'accesso a scopo didattico – fruitivo, pertanto, è possibile unicamente dal 15 aprile al 15 ottobre di ciascun anno su prenotazione, con accompagnamento obbligatorio di una Guida autorizzata dall'Ente parco.

 
La conservazione della specie

Come per tutti i chirotteri, anche per il Rinofolo maggiore, la conservazione passa inequivocabilmente per la protezione dei loro rifugi riproduttivi, quelli di svernamento e degli habitat nei quali esse vivono. Persino luoghi di modesta estensione e dalla natura molto particolare come grotte e miniere, sono indispensabili alla sopravvivenza di molte specie tra cui i pipistrelli, troppo spesso misconosciuti e bistrattati ma il cui ruolo è vitale per la salute degli ecosistemi.

Il Rinolofo maggiore è specie inserita negli allegati II e IV della Direttiva Habitat (Dir. 92/43/CEE) "Specie di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa" e "Specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di Zone Speciali di Conservazione". È inoltre inserita nell'Allegato II alla Convenzione di Bonn (resa esecutiva in Italia con la Legge 42/1983) che comprende le specie migratrici considerate in cattivo stato di conservazione, per la cui tutela le Parti contraenti s'impegnano a concludere accordi ai fini di conservazione e gestione. La specie è altresì inclusa nel cosiddetto Bat Agreement o Accordo sulla Conservazione dei Pipistrelli in Europa (ratificata in Italia con Legge 104/2005). È infine incluso nell'Allegato II "Specie particolarmente protette" della Convenzione di Berna (ratificata in Italia con Legge 503/1981).

Complessivamente lo status di conservazione a livello europeo non appare favorevole. Le cause principali sono imputate all'utilizzo di sostanze tossiche nelle opere di ristrutturazione, al disturbo arrecato alle colonie o alla completa distruzione dei rifugi, all'avvelenamento da parte dei pesticidi utilizzati in agricoltura, nonché alle alterazioni degli habitat di foraggiamento.

Attualmente gli interventi di conservazione dovrebbero prevedere innanzitutto una migliore definizione dello status di conservazione della specie con l'identificazione del maggior numero di siti di rifugio. La protezione delle nursery (colonie riproduttive) e dei siti di svernamento, anche ospitanti pochi individui, è una delle azioni più importanti da intraprendere (particolare attenzione va posta alle ristrutturazione degli edifici e ad eventuali posizionamenti di grate di chiusura alle cavità naturali e artificiali). In secondo luogo è necessario adottare misure di gestione del paesaggio che consentano il mantenimento di ambienti naturali e seminaturali diversificati. Come per tutte le altre specie di Chirotteri risulta estremamente importante una corretta educazione e divulgazione relativa alla "convivenza" con questa specie.

Chirotteri in numeri

Delle 97 specie di mammiferi terrestri presenti in Italia, 35 appartengono all'ordine dei Chirotteri (dal greco keir, mano e pteron, ala, letteralmente "mano alata"). La loro prerogativa è quella di volare grazie a un adattamento della mano. Ad esclusione del pollice le altre dita sono particolarmente allungate e unite da una sottilissima membrana di pelle, il patagio, leggera ed elastica, che consente il volo.

In Piemonte le specie di pipistrelli attualmente note sono 28 e di queste ben 19 sono presenti anche Parco naturale regionale delle Capanne di Marcarolo; ognuna di queste ha abitudini ecologiche differenziate sia nella scelta dei rifugi (cavità di alberi, sottotetti di case, ponti, grotte), sia negli ambienti di caccia (boschi, radure, zone umide, giardini, edificati).

Nell'ambito della biodiversità quindi, i pipistrelli giocano un ruolo essenziale ma, è bene ricordarlo sempre, svolgono anche un importantissimo servizio ecosistemico mangiando una enorme quantità di insetti effettivamente o potenzialmente nocivi alla salute umana, ai coltivi e ai boschi.

A partire dal 2000, il parco ha avviato un programma a lungo termine di studi denominato "Progetto di studio e gestione della biodiversità in ambiente appenninico", che ha consentito nel tempo di arrivare a dati fondamentali sulle specie e gli habitat dell'Area protetta, in particolare presenza/assenza di specie protette, stato di conservazione, vocazionalità ambientale. Questa mole di dati ha portato nel dicembre 2009 alla redazione del Piano di gestione del Sito di Importanza Comunitaria "Capanne di Marcarolo", che comprende 3 Piani di Azione, i primi redatti e approvati in Piemonte. Quello sui chirotteri è stato elaborato con la collaborazione del chirotterologo Roberto Toffoli, esperto nello studio di questi animali in Italia e all'estero. Nel 2009 è stato approvato inoltre il "Piano stralcio delle aree aurifodine" con due finalità: una, prioritaria, di carattere conservazionistico delle peculiarità biologiche del contesto territoriale sul quale insistono le ex miniere, l'altra culturale e socio economica, finalizzata alla valorizzazione del patrimonio realizzato tramite il lavoro quotidiano e l'esperienza delle genti del territorio e alla promozione di uno sviluppo economico sostenibile a favore delle comunità locali, creando nel tempo nuove opportunità di impiego, soprattutto nel campo del turismo naturalistico.

Attualmente gli studi scientifici a scopo gestionale e i monitoraggi previsti dalla normativa comunitaria e nazionale, comprendono tutte le Aree Protette dell'Appennino Piemontese e i Siti della Rete Natura 2000 gestiti dall'ente gestore.

fonte: http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/parchi-piemontesi/item/4769-quel-pipistrello-dalle-grandi-orecchie-che-ama-l-appennino

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venerdì 3 settembre 2021

Turismo in Piemonte: Parco del Po piemontese, un laboratorio per l'ambiente.

In occasione della presentazione del progetto di Foresta condivisa del Po piemontese, riproponiamo un articolo dal nostro archivio che racconta una lunga storia di tutela del Grande Fiume e l'evoluzione dell'area naturale che lo accoglie, attraverso le parole di Dario Zocco, da 38 anni alla direzione delle Aree protette del Po, e oggi in pensione.

Il progetto della Foresta condivisa verrà illustrato in una conferenza stampa giovedì prossimo, 11 novembre, nella sede della Regione Piemonte, in piazza Castello (nel rispetto delle norme anti-Covid). 

Turismo in Piemonte: Parco del Po.

l terminale di una rete: nel bacino idrografico i corsi d'acqua assomigliano alle innervazioni di una foglia e il Po, dove sono convogliati tutti i messaggi che provengono dal territorio, dalle Alpi, dalle colline, dalla pianura, è un po' la colonna vertebrale del Piemonte". Parole espresse da Dario Zocco, una storia lunga 38 anni di direzione delle aree protette del Po - le Aree protette del Po vercellese-alessandrino e torinese, diventate diventate Aree protette del Po piemontese dal 1 gennaio 2021, in pensione da qualche giorno soltanto. Oggi il direttore (ad interim) è Daniele Piazza.

Il sogno di riportare il Fiume Po e i terreni che lo fiancheggiano al loro ruolo originario è nato tanti anni fa (nei primi Anni '80 del secolo scorso) nelle stanze della Regione Piemonte, ma ha avuto fin da subito una spinta altrettanto forte da parte di cittadini, esperti, professionisti e amministratori pubblici del territorio interessato.

Fin da allora era chiaro che un fiume in condizioni ottimali avrebbe rappresentato un vantaggio, sia per i suoi abitanti (umani e non) sia per i suoi fruitori, ma solo da pochi anni si è cominciato a parlare di servizi ecosistemici, intesi come "benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano". Per citarne alcuni: il mantenimento della biodiversità, l'autodepurazione delle acque, la ricarica delle falde, il trasporto dei sedimenti, la mitigazione dei rischi alluvionali, la modellazione del paesaggio. Stanno tutti alla base dell'economia, anche se a volte a nostra insaputa, e spesso non rientrano ancora, a pieno titolo, nel valore monetario del prodotto di mercato che sono in grado di generare.

Ma le parole di Dario Zocco sono anche pure immagini di natura. "La Regione Piemonte è l'unica ad aver tutelato il Fiume Po nel suo insieme ed è la sola ad aver dato una pianificazione all'intero suo tratto, lungo 235 chilometri", spiega. "Nel 1990, quindi più di 30 anni fa, fu istituito un sistema di aree protette fatto di pezzi, di parti, di riserve naturali, collegati tra loro da una zona di salvaguardia avente funzione di raccordo; da qualche anno quella che si chiamava zona di salvaguardia ha preso il nome di area contigua, in sintonia con quanto previsto dalla legislazione nazionale". Poi il 1 gennaio del 2021 è nato il Parco naturale del Po piemontese, asse portante delle Aree protette del Po piemontese; raduna tutte le attuali riserve naturali presenti lungo il corso del fiume Po, con significativi ampliamenti della superficie tutelata, risalendo dal confine con la Lombardia fino a Chivasso senza sostanziale soluzione di continuità, per poi proseguire in modo intermittente fino a quello con la provincia di Cuneo, dove si raccorda con il Parco del Monviso: un corridoio ecologico che si estende per circa 200 km.

La foresta condivisa del Po piemontese.

Progetto cardine del Parco naturale del Po piemontese è la costruzione di una foresta condivisa del Po piemontese, un percorso iniziato trent'anni fa e in forte sviluppo, che consiste nella messa a dimora di migliaia di alberi e arbusti locali e nella riqualificazione ambientale di centinaia di ettari di terreni, in gran parte pubblici.

Questa foresta è stata definita "condivisa" proprio perché tutti possono contribuire a costruirla, diventandone partner, a partire dalle Istituzioni sino al semplice cittadino, dalle aziende agricole, alle imprese private, alle associazioni.

Ed è proprio "condivisione" la parola più giusta da usare per arrivare a connettere una realtà così complessa e frammentata: c'è bisogno di tutti, dei Comuni, delle associazioni, ma anche degli operatori economici e dei singoli: solo così si può ricostruire la natura e dare nuova vita a specie animali e vegetali utili all'ecosistema.

Il supporto del territorio è assolutamente fondamentale.


Per Roberto Saini, Presidente dell'Ente di gestione delle Aree protette del Po torinese: "Le azioni che si intendono porre in essere vedono nel nascente Ente di gestione delle Aree protette del piemontese un attore fondamentale per mettere a sistema quanto viene fatto in materia di tutela ambientale e di sviluppo sostenibile, sia a livello locale, sia in quanto parte integrante della Riserva MAB (Man and Biosphere) CollinaPo, riconosciuta dall'UNESCO, che può facilitare il collegamento con il territorio e con le azioni avviate e realizzate dai Comuni interessati".

Un parco visto dal satellite.


Facendo un confronto, pure molto divertente, fra le tante foto satellitari oggi rintracciabili su internet riferite ad anni diversi, si possono facilmente osservare i cambiamenti importanti del Po avvenuti nel tempo. Se poi si osservano le carte storiche, dal confronto, diventa ancora più evidente quanto i corsi d'acqua, in generale, siano stati quasi tutti ristretti e semplificati nel loro percorso. I dati parlano chiaro: in un secolo e mezzo, da metà '800 alla fine del '900, il Po in Piemonte è stato accorciato da interventi antropici di circa 12 chilometri su meno di 250 (attualmente sono 235). È evidente che questo facilita anche il verificarsi di eventi estremi: alluvioni e magre. Per questo: "Restituire al fiume spazi per la laminazione e lo smaltimento delle piene, ricostruendo ove possibile le condizioni per la divagazione fluviale, non solo è doveroso ma è sempre più urgente perché significa anche ridurre i rischi, in particolare oggi che gli eventi che estremi sono diventati sempre più frequenti", spiega Zocco.

Non solo. Il Po, come tutti i corsi d'acqua, è un importante mezzo di trasporto per tante specie: lungo quel corridoio si spostano non solo i pesci ma anche la vegetazione, che è ferma solo in apparenza; in realtà si muove anche di parecchio lungo le sponde, attraverso i semi portati dal vento o dagli animali o dall'acqua fluente, e in occasione delle alluvioni che li trasportano anche molto lontano.

La globalizzazione del commercio, con lo spostamento delle merci, ha agevolato anche la traslocazione (volontaria e involontaria) di specie animali e vegetali, che in alcuni casi sono state classificate come specie aliene invasive. Perciò dobbiamo fare i conti con: tartarughe, scoiattoli e gamberi del nord America, l'Ibis sacro africano, la nutria del sud America, il poligono del Giappone (Reynoutria japonica che, nonostante il nome, nulla ha a che fare con l'animale "nutria"), l'ailanto (che ad Alessandria cresce sui tetti della Cittadella, a testimoniare la sua capacità di colonizzazione ma anche l'amorfa (Amorpha fruticosa), il Sicyos angulatus (detto anche "zucca matta", importato in Italia proprio per il suo elevato potere tappezzante, che in tre mesi arriva a sommergere letteralmente piante ad alto fusto come i salici e i pioppi). Per non parlare dei pesci, a partire da quel formidabile predatore che è il siluro, al persico-trota, al lucioperca, al persico sole, al pesce gatto africano, al carassio, fino alla meno nota pseudorasbora, solo per citarne una piccola parte. Un elenco infinito di specie aliene che hanno invaso la fascia fluviale e un po' tutta la pianura padana. (A tale proposito, si veda il numero speciale: Pesci esotici, l'invasione silenziosa).

È proprio su questi temi che le aree protette, hanno un ruolo importantissimo da giocare: quello di fare sperimentazione sulla gestione dl specie e habitat, proprio puntando a ricostruire questi ultimi: "Si riduce l'invasività delle specie aliene (alloctone) e si aumentano le possibilità di vita di quelle originarie (autoctone), ricreando le condizione idonee per il loro ritorno, non riportando a forza qualche animale in un territorio che non ha più le caratteristiche per accoglierlo", dice Zocco con slancio.

Da fiume a laboratorio di sperimentazione.

Ogni specie è importante.

Ogni specie, per quanto piccola, ha un'importanza fondamentale nella rete che collega tutti gli esseri viventi, umani compresi e il modo per rendere il territorio in grado di resistere a traumi e imprevisti – oggi è di moda dire "resiliente" – è di dare loro un ambiente accogliente. Dal 2016 il Centro Emys, riconosciuto dalla Regione Piemonte, tutela la testuggine palustre europea "che si trova ad alto rischio di estinzione locale", racconta Riccardo Cavalcante, direttore del Centro che sorge su un appezzamento di terreno di oltre 3.000 m² a Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli e ha un laboratorio complementare all'interno della Riserva naturale della Palude di San Genuario. "I pochi habitat che restano, sono alterati e inquinati non solo dalla chimica, ma anche dall'introduzione di specie esotiche e la frammentazione dei territori, impedendo lo scambio delle popolazioni, indebolisce il patrimonio genetico", continua. L'obiettivo è di ripopolare alcune zone delle Aree protette del Po ricostruendo ambienti idonei per il rilascio delle testuggini e favorendo lo scambio tra popolazioni vicine. Ogni piccolo è una nuova speranza per il Centro e quest'anno ne sono nati oltre venti (una trentina nel 2020).

Anche una torretta in cemento in disuso può diventare un'opportunità di studio e di rigenerazione: a Valenza, nel Bosco Musolino, è diventata un rifugio per i pipistrelli. Nei siti della Rete Natura 2000 di Fontana Gigante, di Ghiaia Grande e di Isola Sant'Antonio sono state installate casette in legno sostenute da alti pali, veri e propri condomini per i chirotteri (altro nome dei pipistrelli), che lì possono trovare un luogo idoneo per rifugiarsi in inverno o per riprodursi in estate. L'Ente parco ha avviato una collaborazione con l'Associazione Chirosphera e l'esperto Roberto Toffoli allo scopo di condurre ricerche sulle 15 specie di questi mammiferi volanti segnalate per il territorio di riferimento.

"Con i Comuni del parco ci si deve interfacciare per sensibilizzarli sulla necessità di puntare verso un'economia sostenibile e condivisa, ben sapendo che la sostenibilità si deve coniugare con i limiti dello sviluppo – sottolinea Zocco – a partire da zone come quelle con cui l'Ente parco si confronta quotidianamente, dove i numeri registrano una diminuzione degli occupati in settori tradizionali quali l'agricoltura e l'industria; si tratta dunque di pensare a diverse modalità di gestione delle attività tradizionali e ad altre attività economiche integrative, che siano in sintonia con l'ambiente in cui si svolgono".

La cura dell'ambiente quindi, non è una cosa astratta, ma ha un impatto forte, anche economico, sulla vita di ciascuno di noi ed è "solo grazie al lavoro degli studiosi del clima che possiamo comprendere gli scenari che ci aspettano, i feedback potenziali fra i vari ecosistemi, quantificando i rischi estremi e i costi dell'inazione – come ha mostrato brillantemente l'economista Martin Weitzman – e prevedendo le regioni e i settori produttivi maggiormente esposti, come ad esempio l'agricoltura, che in Italia e in molti Paesi verrà investita da eventi meteorologici sempre più difficili da gestire", disse Mario Draghi in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Solo così potremo continuare ad avere negli occhi le fioriture di Monet e le anse azzurre del Po tratteggiate dal pittore sansebastianese Alfonso Birolo.

Fonte.

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domenica 8 agosto 2021

Turismo in Piemonte: Foliage all'oasi Zegna, una tavolozza di colori in autunno.

Turismo in Piemonte: Foliage all'oasi Zegna.

Percorso ad anello: Bocchetto di Sessera – Bosco del Sorriso – Eremo di Santa Maria – Tagge Artignaga – Cascina Montuccia – Bocchetto di Sessera (cartelli marrone “Strada dell’Artignaga 16”)

 

Itinerario.


Questa escursione può essere svolta tutto l’anno, anche se noi vi consigliamo l'autunno, quando i boschi si trasformano in una tavolozza di colori grazie al foliage. 

L’escursione inizia a Bocchetto di Sessera dove si trovano diversi parcheggi nei pressi dell’omonima Locanda. Lasciando la strada asfaltata della Panoramica Zegna alle proprie spalle si passa accanto alla locanda arrivando ad alcune panchine e pannelli didattici. Si va ora a sinistra lungo un’ampia sterrata in leggera salita. Pochi passi e la si abbandona per una sterrata più piccola a destra che supera un cancelletto di legno e procede in leggera discesa, ben tenuta e piacevole. Si percorre in tal modo il piacevole Bosco dei Sorrisi lungo il quale ometti di pietre indicano punti specifici dove soffermarsi per giovare delle onde arboree; su di essi una targa indica l’essenza, dove si trova e per quali organi produce benefici. I piccoli troveranno invece affascinanti i libri di legno su cui potranno leggere le “fiabe del bosco”.

In questo modo piacevole, sempre in pendenza graduale, si arriva agli ampi prati che circondano il piccolo fabbricato dell’Eremo di Santa Maria, posto su un grandioso panorama.

Ripreso fiato si continua oltre l’edificio sulla sterrata in piano, ma si deve prestare attenzione al primo bivio: si deve proseguire dritti in piano procedendo sempre in un bel bosco. Una breve salita porta ad attraversare un torrente per poi piegare a destra e arrivare ad una zona di prati e rocce sparse, appena al di sotto degli edifici delle Tagge Artignaga.

Da qui si ritorna seguendo la strada inizialmente percorsa all'andata, deviando poi vero l'Alpe Montuccia dove il panorama si spalanca sulla Valle. Si continua sulla poderale che si snoda inizialmente in leggera salita e poi in discesa fino al punto di partenza.

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venerdì 30 luglio 2021

Turismo in Piemonte: Riserva naturale di Mont Mars, tra boschi, laghi e antiche tradizioni.


Turismo in Piemonte: Riserva naturale di Mont Mars.

La riserva naturale Mont Mars (in francese, Réserve naturelle du Mont Mars) è un'area naturale protetta ubicata in Valle d'Aosta, creata nel 1993 nel comune di Fontainemore.

Si tratta dalla più grande tra le riserve naturali istituite dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta. 

"E' piacevole passeggiare sopra i letti di queste foglie fresche, croccanti, e fruscianti. Come vanno splendidamente alle loro tombe! Con quanta delicatezza si sdraiano e diventano terriccio! Dipinte di mille colori, e adatte a diventare i letti di noi che viviamo. 

Così marciano alla loro ultima dimora, leggere e vivaci.Esse ci insegnano come morire. Ci si chiede se potrà mai venire un tempo in cui gli uomini, con la loro vantata fede nell'immortalità, giaceranno con altrettanta grazia e maturità." (H. D. Thoreau).  

La diga Vargno.

La diga Vargno è un un ampio specchio d'acqua, fu costruita nel 1916 da una società che intendeva sfruttarla a fini idroelettrici, successivamente, a causa di scarse garanzie di tenuta, il muro fu inciso per lasciare defluire le acque e riportarle al loro livello naturale.

Dalle sue sponde si possono ammirare le cime intorno che, sospese sulle nostre teste, sembrano ricoperte di una luce dorata, e ci danno l'idea come di una promessa, quanto meno ci suggeriscono impressioni positive, davanti la meraviglia è impossibile credere che la bellezza un giorno verrà cancellata, essa, pare convincerci che continuerà a esistere, agganciata al corso delle cose. Dopo una doverosa pausa, lasciato il lago, il percorso continua su una mulattiera lastricata che, dopo circa un' altra ora, conduce al bellissimo Lago Long. Lasciato alle nostre spalle anche questo piccolo specchio d'acqua luminoso, si riprende a salire, fino a oltrepassare sulla sinistra uno spettacolare sperone roccioso, che assomiglia a un gigante che osserva il vuoto, oltre il quale, dopo poco, si arriva al ripiano del Lago della Balma, a quota 2.022 metri, dove si trova anche l'omonimo rifugio, circondato da un altro laghetto.

 

Colle della Barma.

Il luogo è meraviglioso, ma non è la nostra meta di oggi, per arrivare al Colle della Balma, la salita continua, su una pietraia lunare, dove variegate pietre bellissime e colorate, di ogni grandezza e forma, accompagnano il cammino, fino al colle, a quota 2.261 metri, dove si trova una croce e un piccolo bivacco, posto sulla linea di confine tra Valle d'Aosta e Piemonte.

Il Colle della Balma, dove la terra incontra il cielo

Il Colle, spartiacque fra il Biellese e la Valle d'Aosta, è un luogo di sconfinata armonia e Bellezza, dove la Terra incontra il Cielo. Si presume che, verso la fine V secolo a. C. proprio da qui passarono i galli celti per arrivare in Piemonte.

Dopo di allora, il passo fu costantemente frequentato dai commercianti, poiché costituiva il percorso più breve per il trasporto del sale dalle miniere della Valle d'Aosta. Ma anche i pellegrinaggi spirituali non mancarono, essi risalgono alle più antiche tradizioni della devozione cristiana in territorio alpino, tra cui quella degli abitanti di Fontainemore che, per scongiurare il paese valdostano da catastrofi come le pestilenze, la siccità, le alluvioni e altre possibili disgrazie, in passato, come ancora oggi, ogni cinque anni, attraversavano a piedi il Colle per raggiungere l'antico santuario di Oropa. 

Un rito molto antico, tanto che la manifestazione viene citata già su alcuni documenti risalenti Cinquecento.

Oltre il colle, verso altre vie, altre destinazioni.

Monte Camino.


Dal Colle vi sono altri itinerari, come l'anello che porta al Monte Camino, la seconda cima del biellese. Per percorrere tutto il percorso ad anello, andata e ritorno, serve circa un'ora e mezza. Vi si accede risalendo, alla sinistra della croce, una ripida cresta rocciosa a gradoni.

Superati i primi metri, il sentiero serpeggia su una cresta meno esposta, fino a un altopiano erboso, dopodiché si ricomincia a salire fino alla base di una piccola parete rocciosa, al di là del quale si riconosce l'ultima cresta pietrosa che conduce in vetta al Camino.

Sebbene la quota del Monte Camino non sia particolarmente elevata, essa si trova a 2.388 metri, la sua posizione lo rende un punto panoramico eccezionale in tutte le direzioni.

Innumerevoli le cime da qui riconoscibili, tra cui il Gran Paradiso, il Cervino, l'intero massiccio del Rosa, tutte le Alpi Biellesi con il vicino Mucrone e la Colma di Mombarone e naturalmente il Monte Mars e la Pianura Padana. Qui si trova anche una rosa dei venti, dove sono segnalate le distanze con i monti e le città visibili più vicine. Per chiudere l'anello, si scende in direzione della Capanna Renata, un piccolo rifugio alpino, passando poi per il grazioso laghetto del Camino e risalire verso il Colle della Balma, nel punto in cui si ricongiunge il sentiero percorso all'andata.

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venerdì 18 giugno 2021

Turismo in Piemonte: le grandi cascate della Novalesa, una delle meraviglie naturali della Val Susa.

Turismo in Piemonte: le grandi cascate della Novalesa.

Alla scoperta delle cascate della Novalesa, una delle meraviglie naturali della Val Susa, fra notazioni paesaggistiche e una breve incursione nella storia.

Tra le tante meraviglie naturali della Val Susa ci sono varie cascate e tra queste le più note sono forse quelle della Novalesa. Il luogo è molto propizio ai grandi salti d'acqua: la Val Cenischia è di morfologia tipicamente glaciale e sulla sua sinistra idrografica la bastionata montuosa tra il Rocciamelone e la Punta Marmottere, di altezza ben superiore ai tremila, strapiomba su un terrazzo glaciale attorno ai milleottocento metri di quota.

La Val Cenischi tra il Rocciamelone e la Punta Marmottere.

Questo si raccorda con il fondovalle, situato a poco più di novecento metri, con una ripida scarpata incisa da alcuni torrenti. In primavera la neve accumulata ai piedi delle cime si scioglie e questi ultimi, riempiendosi d'acqua, danno vita a cascate altissime e spettacolari. I salti d'acqua sono molti, ma i due più famosi si trovano a poche decine di minuti di cammino dal centro del piccolo comune di Novalesa. Si tratta della cascata del rio Claretto camera-2112207 960 720, di circa cento metri di altezza e ben visibile anche da lontano camera-2112207 960 720, e di quella del rio Marderello camera-2112207 960 720, che si trova un centinaio di metri a sud della prima. 

A scanso di equivoci va subito detto che, nonostante il nome poco accattivante, anche le acque di questo secondo torrente in primavera sono bianchissime e spumeggianti. La sua cascata è però un po' meno evidente da lontano perché si trova al fondo di un breve canyon, formato dall'azione erosiva del torrente e caratterizzato da altissime pareti rocciose lisce e grigiastre. Esplorare – con la dovuta prudenza - questa rimbombante e freschissima "camera segreta" è una esperienza che si ricorda a lungo.

Nell'Ottocento le cascate della Novalesa rappresentavano una meta turistica rinomata.

Le cascate della Novalesa nel loro complesso non sono però mai state un segreto. Anzi, già nell'Ottocento rappresentavano una meta turistica rinomata, in particolare quando per la Val Cenischia e il Colle del Moncenisio passava la più frequentata via di comunicazione tra Piemonte e Savoia, e nel "Dizionario corografico degli Stati Sardi di Terraferma" del 1854, compilato da Gugliemo Stefani, sono menzionate come "le famose cascate che i viaggiatori non mancavano di visitare quando tenevasi la strada di quella valle".

Passata ormai da tempo l'epoca dei "touristes" e dei loro lunghi viaggi attraverso l'Europa, i veri esperti di cascate sono oggi gli appassionati di arrampicata su ghiaccio, e durante l'inverno la zona della Novalesa offre loro una variegata gamma di percorsi di diversa difficoltà e altezza.

 La "Coda di cavallo", il "Lungo cammino dei ghiacciatori" o il "Fungo magico" sono solo alcuni dei nomi delle vie su ghiaccio della zona, alcune delle quali scoperte e descritte più di quaranta anni fa dal mitico Gian Carlo Grassi. Le due cascate principali non sono però incluse nella top-ten degli ice-climbers: prendono troppo sole e, complice anche la quota piuttosto bassa, difficilmente l'acqua riesce a trasformarsi in un ghiaccio con le caratteristiche giuste per l'arrampicata.

L'antica e suggestiva Abbazia della Novalesa.

Con la bella stagione invece le due grandi cascate camera-2112207 960 720 diventano una meta importante per il "turismo di prossimità", e attirano molti ammiratori dalla Valsusa e dal Torinese. 

Un ampio piazzale sterrato offre un comodo parcheggio camera-2112207 960 720 ai visitatori motorizzati, che in pochi minuti di cammino possono raggiungerne la base. Nelle calde giornate estive i salti d'acqua non sono forse così spettacolari come in primavera, ma l'acqua nebulizzata offre un piacevole refrigerio a chi passa da quelle parti. 

Poco prima del paese di Novalesa si trova un'area attrezzata per un picnic, e la zona offre vari bar, agriturismi e ristoranti. Tra l'altro, oltre alle cascate, di sicuro meritano una visita anche il piccolo ma interessante centro storico, l'antica e suggestiva Abbazia della Novalesa e i laghetti di Ferriera Moncenisio che, a pochi km di distanza dalle cascate, costituiscono un altro incantevole angolo di natura valsusina. 

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venerdì 21 maggio 2021

Turismo in Piemonte: Il Gran Bosco di Salbertrand foresta unica nel panorama vegetazionale del Piemonte.

 

Le strade che salgono nel Parco naturale del Gran Bosco sono infatti chiuse al traffico motorizzato già dal fondovalle, e poco più di 1 km di strade secondarie separa il parcheggio di Pinea dalla stazione ferroviaria: quindi l'escursionista che sceglie il treno deve camminare solo 35 minuti in più - tra andata e ritorno - di chi arriva in auto (e con le tariffe dell'autostrada valsusina la scelta del treno risulta anche economicamente interessante...).

L'escursione si svolge nel parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand, che è stato istituito nel 1980, dal 2012 fa parte del sistema dei Parchi delle Alpi Cozie, e si estende su 3774 ettari per proteggere il vasto bosco di abeti, larici e pini cembri che ammanta il versante destro della media Valle di Susa camera-2112207 960 720.

Turismo in Piemonte: Il Gran Bosco di Salbertrand.

L'aspetto più interessante del Gran Bosco sono i 700 ettari di foresta mista di abete bianco e abete rosso, unica nel panorama vegetazionale del Piemonte, a cui si unisce l'estrema rarità dell'abete rosso nelle Alpi occidentali. Inoltre alle quote più elevate vi è una notevole presenza di pini cembri.

Disponendo di una sola giornata, si può effettuare da Salbertrand un piacevole itinerario ad anello nel fitto bosco di abeti camera-2112207 960 720 e larici dove è possibile l'avvistamento di caprioli e in autunno si possono sentire i sonori bramiti dei cervi. Il sentiero sale fino a quota 1800, dove si incontra la strada forestale che si snoda quasi in piano nel bosco fino ai pascoli di Montagne Seu, la piccola borgata dove si trova il rifugio Arlaud camera-2112207 960 720. Dopo la sosta per il pranzo o il pic-nic, si scende lungo la mulattiera della Gta, che tocca anche diverse radure dove il panorama si apre sulla valle.

Il rifugio Arlaud.

Il rifugio Arlaud - primo rifugio alpino ad ottenere la certificazione europea Ecolabel - è allestito in una baita ristrutturata con cura dal Parco ed è gestito dal 2002 da Elisa Pecar, che ha scelto coraggiosamente di tenerlo aperto non solo nei mesi estivi, ma anche in tutti i fine settimana delle altre stagioni. Quindi in autunno inoltrato si può cenare e dormire in rifugio, e si ha la possibilità di effettuare escursioni piuttosto lunghe.

Ad esempio, disponendo di un giorno e mezzo, si può estendere l'escursione precedente con un altro anello, raggiungendo la quota più elevata del Parco naturale, i 2615 m del Monte Gran Costa e toccando i diversi ambienti naturali che si succedono su 1600 metri di dislivello. Nel pomeriggio del sabato si sale da Salbertrand al rifugio Arlaud. 

Il giorno successivo si sale ancora tra larici e pini cembri, fino al limite superiore del Gran Bosco e si prosegue per pascoli sulla "strada dei cannoni" fino al crinale che separa la Valle di Susa dalla Val Chisone, con possibili avvistamenti di camosci. Infine con un'ultima breve salita si raggiunge la panoramica cima del Monte Gran Costa, dove si trovano i ruderi di una imponente fortificazione. Quindi si scende lungo il sentiero Gta al rifugio Arlaud, e si continua lungo la Gta fino alla stazione di Salbertrand, effettuando così un mini trekking con 1650 metri di dislivello e un tracciato a forma di 8.

Arrivare in treno.


Si raggiunge la stazione di Salbertrand con la ferrovia che collega la stazione di Torino Porta Nuova a Bardonecchia. Ci sono treni ogni ora nei giorni feriali e ogni 2 ore nei festivi, che da Porta Nuova arrivano a Salbertrand in poco più di un'ora (66-70 min. se puntuali), con un costo di 5,90 € (11,80 € a/r).


Arrivare in auto.


Si percorre la A32 fino all'uscita di Susa e poi la SR 24 che risale la valle fino a Salbertrand: alle prime case si svolta a sinistra in discesa e con un ponte si attraversano ferrovia e Dora Riparia (oppure si esce a Oulx est e si percorre la SR 24 in direzione di Salbertrand, andando a destra al cartello che indica la stazione). Si va a destra su via Rey, si passa sotto l'autostrada e si prosegue su uno sterrato, seguendo i cartelli segnavia e la descrizione dell'itinerario pedonale, fino al parcheggio di Pinea.

L'escursione di giornata.


Usciti dalla stazione di Salbertrand (1000 m) si va a sinistra due volte, prendendo via Arlaud che scavalca la ferrovia e la Dora Riparia e giunge subito a un trivio. Seguendo i cartelli segnavia per Pinea e della Gta, si va a destra su via Rey, si passa sotto l'autostrada, si lascia a sinistra via Fontan (dove c'è la sede del Parco) e si prosegue sullo sterrato verso il bosco. 

Al margine del bosco si lascia a sinistra il sentiero Gta (che si percorrerà al ritorno), poi a destra uno stradello e il Sentiero dei Franchi, arrivando al parcheggio dell'area attrezzata Pinea (1050 m, 0.20 ore; fin qui si arriva anche in auto).

Sulla destra del parcheggio si segue la stradina vietata ai mezzi motorizzati trovando subito un bivio con cartelli camera-2112207 960 720: si va a destra,seguendo la vecchia strada militare per Monfol. 

Dopo 200 metri si trova a sinistra l'inizio del sentiero 1 (detto "tagliacurve"), che si segue salendo a lievi svolte nel fitto bosco di conifere. Il sentiero sfiora 3 tornanti della strada e arriva al viottolo per Bouissoniere: si va a destra e dopo pochi passi si trova la strada militare. Il sentiero incrocia per altre 5 volte questa stradina tagliandone i tornanti e giunge a un bivio: lasciato a destra il ramo per Sersaret, si va diritto in diagonale nella fitta abetaia, giungendo su una pista forestale (1500 m circa, 1.15 ore).

La Fontana del Fanja.


Qui c'è la Fontana del Fanja, a fianco della quale il sentiero 1 sale ripido a lievi svolte tra bosco e radure. Poi la pendenza si addolcisce e il sentiero poggia a sinistra entrando in un valloncello, attraversa un rio e a mezza costa supera altri ruscelli, prosegue con lievi saliscendi e con un paio di svolte confluisce sul viottolo indicato dal segnavia 2 (1790 m). Seguendolo si va in lieve salita e con un'ampia curva a destra si esce sulla stradina camera-2112207 960 720 che collega Montagne Seu a Monfol (1870 m, 1 ora).

Si va a sinistra, percorrendo questa piacevole strada - chiusa al transito dei mezzi non autorizzati - che va in piano per 2 km nel lariceto e poi tra i pascoli, fino a Montagne Seu (1770 m, 0.25 ore).

Nel bel villaggio, con case restaurate e una cappella camera-2112207 960 720, si trova l'antica baita che ospita il rifugio Arlaud, dove si può sostare per il pranzo (indispensabile prenotare).

Tornare a valle.


Per tornare a valle, sulla sinistra del rifugio si trova la mulattiera Gta che scende tra prati e poi nel bosco di conifere, quindi attraversa la radura con i ruderi delle grange Berge o Bercia (1531 m) presso cui si vedono vecchi tralicci in legno della teleferica che in passato permetteva di portare a valle legna e fieno. 

La mulattiera prosegue tra i pascoli, con tratti ancora selciati e altri un po' rovinati, arrivando in vista delle grange d'Himbert (1392 m) che lascia a sinistra. La mulattiera Gta rientra nel bosco camera-2112207 960 720 e va in lieve discesa a mezza costa fino ai ruderi delle grange Pineis, dove svolta a sinistra e scende più decisa nel fitto lariceto. 

Ormai prossimi al fondovalle si lascia a destra il Sentiero dei Franchi e si esce sullo sterrato percorso all'inizio del giro (1054 m, 1.30 ore): andando a sinistra si arriva subito al parcheggio tra gli alberi di Pinea camera-2112207 960 720, mentre chi ha scelto il treno deve andare destra, ripercorrendo a ritroso la strada che porta alla stazione di Salbertrand (0.15 ore).

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martedì 6 aprile 2021

Turismo in Emilia Romagna: Riserva naturale Rupe di Campotrera, nelle terre della 'Gran Contessa'.

Paesaggi lunari all'ombra dei castelli, nel cuore dell'Emilia Romagna; dai fasti dei Canossa alle memorie dei minatori fino alla tutela della biodiversità: questa è la Riserva naturale Rupe di Campotrera.

Il direttore dell'Ente parchi Emilia Centrale, Valerio Fioravanti: "Dalla Regione Emilia Romagna, quasi 4 milioni di euro per il Programma di investimenti per i parchi e le aree protette. In arrivo anche per Campotrera fondi per progetti su biodiversità e fruizione".

Turismo in Emilia Romagna: Riserva naturale Rupe di Campotrera.

Memorie di antichi oceani e vulcani s'intrecciano alle insegne medioevali della casata dei Canossa, alla vita di borghi in pietra assiepati ai piedi dei castelli, al sudore dei minatori che, nell'Italia rurale della provincia, ancora fino a una quarantina di anni fa strappavano alla terra il basalto rosso cupo per farne il fondale di strade e ferrovie. Siamo a Canossa, comune collinare della provincia reggiana a 26 chilometri dal capoluogo, nella Riserva naturale Rupe di Campotrera: 42 ettari di territorio punteggiato di affioramenti ofiolitici, dura roccia lavica che si eleva fino a 446 metri su una scenografia di morbidi calanchi argillosi da cui il nome di "isole nella terraferma".

Un'oasi selvaggia di basalto rosso cupo.


Il perimetro della Riserva, istituita nel 1999 e inclusa nel Paesaggio naturale e seminaturale protetto Colline Reggiane-Terre di Matilde, così come nella lista dei siti d'interesse comunitario dell'Unione Europea, è compreso tra il rio Cerezzola, affluente del Torrente Enza che nella sua corsa verso il Po divide le province di Reggio Emilia e Parma, e il castello di Rossena, il bastione difensivo meglio conservato dell'epoca matildica che si staglia severo sulla roccia bruno-rossastra da cui prende il nome.
Rossena e Canossa, destini diversi

Proprio il basalto, resistente all'erosione, gli ha garantito l'ottimo stato di conservazione di cui gode insieme all'antistante torre di guardia Rossenella; sorte ben diversa da quella occorsa al più noto castello di Canossa, costruito su terreno argilloso e in larga parte perduto ma visibile da lì in un colpo d'occhio grandioso. 

Tra boschi di querce (soprattutto di roverella) e arbusteti, Campotrera è un'oasi nettamente distinta dal resto del territorio con le sue pareti laviche vecchie di 170 milioni di anni, scenografia severa per sentieri solitari che in primavera si colorano di orchidee e gladioli selvatici.

Punti d'accesso della Riserva.

Testimone dell'orogenesi appenninica, unica zona di affioramenti ofiolitici in Emilia Romagna a essere caratterizzata dal basalto, Campotrera è principalmente accessibile da Rossena (sulla SP 54), alle spalle della Guardiola di Rossenella, e dal borgo di Cerezzola, fitto nucleo di case rurali raccolte intorno a una tipica casa a torre che conta un'ottantina di abitanti. 

Proprio dall'abitato di Cerezzola è ben visibile la parte più alta della Rupe, coi suoi cuscini di lava oggi tutelata ma fino a qualche decennio fa meta di minatori che in zona aprirono vari fronti di scavo, attratti dalla resistenza di quella roccia scura e unica.

Itinerari di visita tra storia e attualità.


Che cosa significasse lavorare nella cava e che vita facessero i minatori oggi è storia che rivive ogni anno grazie dall'Associazione Amici di Cerezzola promotrice del "sentiero dei minatori", iniziativa che trasforma le vecchie cave in teatro a cielo aperto di vissuti e memorie collettive.

La Riserva è percorribile a piedi in diversi modi, tutti adatti anche alle famiglie, con dislivelli modesti e nessuna difficoltà: dal sentiero sommitale al Sentiero geologico del Rio della Fornace, al percorso perimetrale, gli itinerari sono ben segnalati da una cartellonistica che accompagna il visitatore alla scoperta delle particolarità della zona, dalla flora con le sue piante tipiche degli ambienti rupicoli, alla fauna e avifauna, alla presenza di minerali rari (esposizione permanente all'interno della Torre di Rossenella). Percorrere questi sentieri in solitaria, nel silenzio, è come immergersi in un mondo altro, una pagina di storia del pianeta disponibile al racconto.

Le iniziative del Comune di Canossa e il futuro della riserva.


Ma se la storia è antica, la Riserva non smette di guardare al futuro, tanto più adesso che il turismo di prossimità, dopo la pandemia, sta vivendo una stagione d'oro. Lo confermano le numerose iniziative messe in cantiere dal Comune di Canossa e dall'assessore all'Ambiente, Mara Gombi. Ultima in ordine cronologico, una camminata nella Riserva alla scoperta delle orchidee, mentre il 29 maggio sarà la volta delle farfalle con una giornata loro dedicata promossa dall'Ente Parchi Emilia Centrale in occasione della settimana dei parchi.

"La Nostra Riserva è un aula didattica all'aperto- spiega l'assessore Mara Gombi - Luogo ideale per visite volte all'educazione ambientale per le scuole dalle primarie alle superiori. E' uno scrigno di Biodiversità che, attraverso visite guidate, cerchiamo di far conoscere imparando a rispettarlo. Vi sono sentieri di lieve e media difficoltà per chi vuole scoprire la natura a due passi da casa".

Dalla battaglia contro le specie alloctone all'interramento della rete elettrica.


A conferma del ruolo centrale del sistema parchi e dell'ambiente, la Regione Emilia Romagna ha appena stanziato sul punto quasi 4 milioni di euro per i prossimi tre anni. "Circa 700 mila euro sono destinati alla macro area Emilia Centrale e, di questi, un terzo andranno su progetti di tutela della biodiversità – ci spiega via Lifesize Valerio Fioravanti, direttore dell'Ente parchi Emilia Centrale.

Le idee per Campotrera non mancano, dalla lotta alle specie alloctone come il fico d'India nano che oggi ha ampiamente colonizzato le pareti rocciose del sentiero che sale a Rossena fino al progetto, ancora futuristico, di interramento delle reti elettriche per migliorare il paesaggio.

"Stiamo ragionando con il Comune e con tutti i soggetti coinvolti perché parliamo di interventi complessi che coinvolgono anche il privato e che richiedono la massima concertazione", precisa Fioravanti. Quanto alla fruizione, "stiamo lavorando per il potenziamento della segnaletica", prosegue il direttore che rilancia sulla necessità di campagne educative per il rispetto delle aree protette. "Con l'aumento delle presenze nei Parchi e nelle Riserve, abbiamo assistito anche all'aumento di comportamenti scorretti come l'abbandono di rifiuti".

Ma la Riserva è una delle perle di un territorio ricco di storia che oltre ai Castelli matildici conta, nel raggio di pochi chilometri, testimonianze di passaggi illustri come quello del Patrarca nella vicina località di Selvapiana o l'antico Borgo di Votigno, completamente ristrutturato e adibito a Casa della Cultura del Tibet, simbolo di pace tra i popoli come nella miglior accezione del termine "canossano".

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venerdì 26 marzo 2021

Turismo in Piemonte: l''anello dei Laghi di Avigliana e della Palude dei Mareschi e la ricca avifauna che qui sverna.

 

Turismo in Piemonte: i Laghi di Avigliana e la Palude dei Mareschi.

L'autunno e l'inverno sono stagioni ideali per camminare lungo le sponde dei Laghi di Avigliana e per osservare la ricca avifauna che qui sverna. 

Grazie alla ferrovia della Valle di Susa, unita a un servizio di bus, si può raggiungere l'area protetta senza utilizzare l'automobile, riducendo inquinamento ed emissione di gas serra.

I Laghi di Avigliana e la Palude dei Mareschi dal 1980 sono protetti da un parco naturale che si estende su 400 ettari, è stato inserito nella Rete Natura 2000, e dal 2012 fa parte del sistema di aree protette delle Alpi Cozie. 

I due laghi, anche se si trovano a una quota di circa 350 metri, sono circondati dalle montagne e si trovano all'interno dell'anfiteatro morenico di Rivoli. Si tratta di tipici laghi intramorenici, che si sono formati con il ritiro del grande ghiacciaio che nel Pleistocene occupava tutta la Valle di Susa. Probabilmente le glaciazioni generarono 4 bacini, ma la Torbiera di Trana e la Palude dei Maraschi con il tempo si sono interrati.

Sentieri molto belli, tra boschi, prati e qualche cascina.

I due laghi e la palude offrono ambienti naturali molto interessanti e diversi fra loro, che si possono osservare facilmente percorrendo un itinerario che si snoda con due anelli. Il primo effettua il periplo completo lungo le sponde del Lago Piccolo camera-2112207 960 720, su un sentiero molto bello, tra boschi, prati e qualche cascina. Intorno al Lago Grande invece sono state costruiti molti edifici e alcuni tratti di sponda sono di proprietà privata: per rendere possibile un itinerario circumlacuale il Comune di Avigliana ha realizzato alcuni pontili galleggianti che danno continuità a un piacevole tracciato pedonale lungo le sponde orientale e settentrionale, mentre su una parte della sponda occidentale camera-2112207 960 720 si percorre uno stradello chiuso ai mezzi a motore non autorizzati. Per chiudere l'anello si deve infine percorrere un tratto di 1,5 km lungo una strada aperta al transito (ma non è troppo trafficata, salvo un breve tratto di SP 190).

L'anello intorno al Lago Grande si può ampliare con un giro prima nel bosco e poi nella Palude dei Mareschi camera-2112207 960 720, percorrendo un piacevole viottolo che passa tra gli stagni.

Lungo il tracciato si possono facilmente osservare i germani reali camera-2112207 960 720 a pochi metri dalle sponde, mentre un binocolo è utile per individuare svassi, folaghe, cormorani, aironi cenerini e altri uccelli.

Le stagioni migliori per osservare la ricca avifauna sono l'autunno e l'inverno, ma anche in primavera l'escursione è molto piacevole. D'estate invece il Lago Grande diventa una frequentata meta per la balneazione a 20 chilometri dalla città, e il Lago Piccolo offre boschi ideali per difendersi dal caldo: così le strade e i parcheggi vicini alle sponde sono fin troppo affollati.

Per evitare ingorghi e inquinamento il Comune di Avigliana ha attivato - tra fine giugno e metà ottobre - un utile servizio di navette gratuite che il sabato e la domenica collegano l'abbazia di Sant'Antonio di Ranverso alla stazione di Avigliana e all'area attrezzata del Lago Piccolo. Inoltre dal lunedì al sabato di tutto l'anno vi sono bus di linea che collegano ogni ora la stazione di Avigliana a Giaveno, in coincidenza con i frequenti treni della linea 3 del Servizio ferroviario metropolitano da Porta Nuova: questi bus fanno due fermate lungo il Lago Grande, a pochi passi dal tracciato pedonale lungolago, e c'è anche qualche bus la domenica. Perché non utilizzarli?

I Laghi di Avigliana si trovano ad appena 20 chilometri da Torino e sembra logico raggiungerli in auto: ma si potrebbe invece optare per una camminata in totale accordo con la natura, rinunciando all'automobile per scegliere una moderna intermodalità "treno + bus + piedi"...

Arrivare in treno e bus.


Con i treni SFM 3 da Porta Nuova si raggiunge la stazione di Avigliana (orari su www.sfmtorino.it). Sul lato sud della stazione fanno capolinea i bus Cavourese per Giaveno, che fanno una fermata su corso Laghi, vicino all'ufficio turistico, e un'altra fermata molto utile per la gita vicino al ristorante Miralago: dal lunedì al sabato ci sono corse circa ogni ora in coincidenza con i treni (orari sul sito cavourese.it, linea 253), mentre la domenica vi sono solo un paio di corse utili. Inoltre il sabato e domenica, da fine giugno a metà ottobre, vi è una navetta gratuita che parte da Sant'Antonio di Ranverso, ferma nei pressi della stazione di Avigliana e davanti all'ufficio turistico, e arriva all'area attrezzata sul Lago Piccolo (orari su www.turismoavigliana.it).

Arrivare in auto.


Si percorre l'autostrada del Frejus (A55) fino all'uscita di Avigliana Est, oppure la statale 24 o 25, e si prosegue sulla variante della SP 589 in direzione di Trana-Pinerolo, percorrendo 2 tunnel. Dalla rotonda subito dopo il 2° tunnel si va a destra (1^ uscita), e si trova subito un'altra rotonda: la 3^ uscita immette su una strada secondaria (via Pinerolo) che porta all'hotel Caprice: dopo il parcheggio dell'albergo si trova il "parcheggio laghi" presso cui transita l'itinerario pedonale, a pochi passi dal Lago Piccolo. Nei giorni feriali di bassa stagione, uscendo dal tunnel si può proseguire in direzione di Trana,fino al parcheggio dell'area attrezzata del Lago Piccolo.

Il percorso a piedi per visitare il Lago Piccolo.

Dalla fermata del bus vicino all'hotel Domus (chiuso) e all'albergo Miralago, si percorre il marciapiede lungo la provinciale 190 (via Giaveno) che è separato dalla strada da un guard-rail: quindi si deve oltrepassare di pochi metri la rotonda, poi si attraversa corso Laghi, si torna verso la rotonda dove si attraversa anche la SP 589 per prendere la tranquilla via Pinerolo, che costeggia l'Hotel Caprice e arriva nel "parcheggio laghi" (5 min.), utile per chi arriva in auto.

Dal parcheggio si prosegue sullo stradello delimitato da staccionate in legno che fa una curva e alla fine della staccionata si gira a destra sulla stradina (via Pinerolo 22-30) per la cascina Garello: ma fatti pochi passi la si abbandona per andare a sinistra sul viottolo che porta subito in vista del Lago Piccolo. Si inizia a costeggiare il Lago Piccolo, sul sentiero che va parallelo alla provinciale 589, fra la strada e la sponda orientale del lago. Nonostante la vicinanza della strada, il percorso è molto piacevole, con vista sul lago camera-2112207 960 720 che appare fra la vegetazione con lo sfondo delle montagne della Val Sangone. Si giunge così al parcheggio dell'area attrezzata del Lago Piccolo, assai affollato nei fine settimana (0.20 ore).

Si scende a destra verso il bar "La zanzara" e la spiaggetta camera-2112207 960 720, dove spesso si possono osservare da vicino i germani reali; dopo pochi passi fra i tavoli e panchine, si attraversa su un ponticello il rio immissario del lago, ritrovando la quiete. Il largo sentiero costeggia la sponda sud, con tratti un po' fangosi, con a sinistra i prati e a destra gli alberi sulla riva, tra cui si possono osservare diverse specie di uccelli. Poi il sentiero entra nel bosco camera-2112207 960 720, che si estende fino all'acqua lungo gran parte della sponda occidentale, con lo sfondo del Monte Cuneo al di là del lago. Si lascia a sinistra il Sentiero collinare, si attraversano su ponti in legno un ruscello, un paio di rigagnoli e il rio Giacomo. Dove il bosco si fa più rado, il sentiero si allontana un po' dalla sponda e in lieve salita nell'erba arriva a bivio: lasciato a sinistra un altro ramo del Sentiero collinare, si prosegue nel bosco con radure che offrono scorci sul lago. Al bivio presso il rio Freddo si va a destra e lo si attraversa, sul viottolo che con una larga curva si riavvicina alla sponda settentrionale e giunge a un capanno per l'osservazione dell'avifauna. Si prosegue in salita, con vista sul lago e sul campanile del santuario di Trana camera-2112207 960 720, e tra i campi si arriva a un bivio: a sinistra c'è la provinciale 190, mentre il tracciato va a destra e subito a sinistra, su un panoramico dosso da cui appare il Lago Grande. Il viottolo scende a destra, fino al ponte sul canale Meana che collega i due laghi, svolta a sinistra e subito dopo a destra per contornare una casa, giungendo sulla stradina asfaltata che porta al parcheggio (0.45 ore).

Qui si conclude l'anello del Lago Piccolo e si può iniziare il giro del Lago Grande.

Il percorso a piedi per visitare il Lago Grande.

Si va a sinistra, costeggiando l'hotel Caprice e si arriva alla rotonda già toccata a inizio gita, dove si attraversano la provinciale 589 e il corso Laghi, per portarsi sul lato della strada verso il Lago Grande: qui il marciapiede porta subito alla scalinata che scende alla sponda. Il viottolo si tiene sul bordo del lago con vista sulle montagne della Bassa Valle di Susa camera-2112207 960 720, protetto da ringhiere o mancorrenti, passando a fianco di bar, ristoranti e barchette ormeggiate camera-2112207 960 720.


Qui si può arrivare anche scendendo dal bus alla fermata presso l'ufficio informazioni turistiche: si segue a ritroso corso Laghi verso nord per 50 metri, fino a trovare la discesa al tracciato lungolago).

Dove le urbanizzazioni sono giunte fino alla sponda, il percorso le aggira con pontili galleggianti: il primo è breve, poi c'è un tratto lungo il lago che sfiora ville, parchi, giardini, dove nelle giornate più tranquille capita di incontrare i germani sulla sponda camera-2112207 960 720.

Quindi si percorre il secondo lungo pontile camera-2112207 960 720, che passa a valle della chiesa dei Cappuccini: per la sua notevole lunghezza dondola come una barca. Tornati sulla terraferma si percorre un tratto molto piacevole, ombreggiato dagli alberi e quasi senza edifici, con vista sulla boscosa sponda occidentale. L'unica villetta viene aggirata con un ultimo breve pontile, poi lungo la sponda settentrionale camera-2112207 960 720 si arriva tra gli alberi all'area pic-nic della "Baia Grande" (346 m, 0.30 ore), dove d'estate è possibile fare il bagno.

Dalla baia si può proseguire lungo il lago, o visitare anche la Palude dei Mareschi, con un tracciato un po' più lungo. In tal caso si sale a destra sulla stradina asfaltata (chiusa alle auto) per 200 metri fino al bivio dove si svolta a sinistra (cartello Sentiero di Montecapretto): il viottolo sale tra i prati e nel bosco, arrivando al pilone votivo dedicato all'arcangelo Michele (390 m).

Qui si lascia a destra il Sentiero di Montecapretto, per proseguire sul viottolo che va in lieve discesa e poi in piano nel bosco. Passati accanto a un maneggio, la stradina si abbassa a svolte con vista sulla Valle di Susa e su una zona industriale, giungendo a una strada pianeggiante, chiusa ai non residenti.

La si segue verso sinistra, arrivando al cancello di Case Meano, da cui si prosegue sullo stradello pedonale che costeggia una lunga recinzipone. Di fronte alle case si trova a destra un viottolo che in pochi passi porta al ponte sul Canale della Naviglia camera-2112207 960 720, importante elemento dell'idrografia della Palude dei Mareschi. Tornati allo stradello, lo si segue verso sud: va perfettamente diritto per quasi 1 km tra gli stagni della palude, offrendo ottimi scorci su questa importante e suggestiva zona umida camera-2112207 960 720, poi piega a sinistra uscendo sul lungolago (0.45 ore). Una digressione di pochi passi a sinistra porta alla sede del Parco, alle cui spalle si innalzano gli imponenti ruderi del Dinamitificio Nobel.

Tornati al bivio, si prosegue sulla stradina - asfaltata ma chiusa ai mezzi non autorizzati - che attraversa il Canale della Naviglia (Navìa di Marésch), poi sale tra alberi e coltivi, tenendosi a destra di una collinetta recintata e arriva a Case Grignetto, un gruppo di cascine ristrutturate poste su un dosso con vista lago. Si svolta a destra tra le case, sulla stradina che in piano fa una svolta a sinistra e porta al grande parcheggio del piazzale Nino Costa (utile nei fine settimana estivi, se i parcheggi vicini ai laghi sono al completo). Si prosegue verso sinistra, su via Monginevro: la strada è aperta al transito, ma non troppo trafficata e dotata di un largo marciapiede. In lieve discesa costeggia Grignetto, un ristorante e alcune ville, offrendo scorci dall'alto sul Lago Grande al di là di giardini e parchi privati. Il marciapiede diventa una striscia di terra, poi sparisce, e presto si arriva alla confluenza con la provinciale 190 (via Giaveno). La si segue in lieve discesa, purtroppo senza marciapiede, giungendo dopo pochi metri alla fermata del bus dove è iniziata la camminata (0.40 ore).

Se si è arrivati in auto, alla confluenza con la SP 190 si può seguire la provinciale in salita per pochi metri, fino a uno stradello a sinistra che riporta subito all'anello del Lago Piccolo: lo si ripercorre nella stessa direzione, svoltando dopo pochi passi a sinistra, si scende al pontie sul canale Meana e con due svolte si arriva a via Pinerolo e al "parcheggio laghi" (10 min.).

Fonte.

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venerdì 12 febbraio 2021

Turismo in Piemonte: una giornata a passeggio per Asti, città che vanta una storia millenaria.

Adagiata sulla riva del Tanaro e sulle colline del Monferrato, Asti è una cittadina piemontese che, oltre ai suoi eccellenti vini e prodotti enogastronimici, offre ai visitatori tante sorprese, che andrebbero gustate con calma.

La città vanta una storia millenaria, fondata inizialmente dai romani, nel IV secolo divenne ducato longobardo, almeno fino al 1159, quando si trasformò in un Comune libero, diventando, da questo momento in poi, la città più potente del Piemonte.

 Turismo in Piemonte: Asti.

All’epoca, le famiglie più ricche, divise tra guelfi e ghibellini, si sfidavano nel costruire palazzi imponenti e soprattutto torre più alte e belle, che potessero salvaguardarle dai furti. Ecco perché, successivamente, venne etichettata come: “la città delle cento torri”.

Itinerario.

Il nostro viaggio inizia in Piazza Statuto, anticamente chiamata Piazza delle Erbe, in quanto era qui che in passato si svolgeva il mercato. Sarebbe doverosa una sosta in quanto,i in questo luogo,sorge l’antica e bella Torre dei Guttari.

Adesso, ci spostiamo nel cuore della città, in Piazza San Secondo, dove si trova la magnifica chiesa della Collegiata di San Secondo, tra gli edifici religiosi gotici più antichi di Asti. Secondo una leggenda la chiesa sarebbe sorta proprio sul luogo del martirio di San Secondo, Patrono della città. Adiacente si trova anche la sede comunale.

Nelle vicinanze, affacciata su Piazza Medici, spicca alta verso il cielo, la Torre simbolo della città, chiamata Torre Troiana o Torre dell’Orologio. Si tratta di una delle torri medioevali meglio conservate di tutto il Piemonte. A pianta quadrata, ha un’altezza vertiginosa, di beni 44 metri, e si presenta in muratura a vista.

La costruzione risale alla seconda metà del XIII secolo, periodo di grande rinnovamento edilizio cittadino. Essa faceva parte di una casa dei Troya, una delle famiglie dell’aristocrazia mercantile cittadina che praticava l’attività finanziaria in diverse città europee.

Nel secolo XV, estintasi la famiglia proprietaria, la torre divenne di proprietà del Comune, che vi fece istallare la campana civica, per il suono delle ore e degli avvisi di interesse pubblico.

Svoltando per alcuni vicoli, giungiamo in Corso Vittorio Alfieri, importante direttrice della città, dedicata al famoso poeta e scrittore astigiano.

Da Corso Alfieri, si arriva in pochi minuti in Piazza Roma, dominata dal monumento all’Unità d’Italia e agli Eroi del Risorgimento, e da Palazzo Medici del Vascello, con l’adiacente Torre Comentina, la seconda torre civica della città in altezza. Alta 38,5 metri, e con una terrazza ghibellina ornata da merli a coda di rondine e una doppia cornice di archetti, rispende in tutta la sua bellezza.

Nei pressi si trovano anche il grazioso giardino Alganon, dove si trova la scultura a forma di alveare realizzata da Jessica Carrol, vincitrice della 6° Biennale Internazione di Scultura della Regione Piemonte nel 2008, e, di fianco, il maestoso Palazzo Mazzetti, tra i palazzi barocchi più belli cittadini, che ospita spesso mostre temporanee di un certo interesse.

Proseguendo sul corso, si arriva, poco dopo, al Palazzo Alfieri, che ospita al piano nobile gli appartamenti natali di Vittorio Alfieri, celebre poeta astigiano, nato ad Asti nel 1749.

A pochi passi dalla Casa di Alfieri si trova Piazza Fratelli Cairoli, dove si trova il Monumento a Umberto I, di fronte, si trova la Chiesa degli Oblati di San Giuseppe, eretta nel 1931 sulla demolita Chiesa di Sant’Agnese.

Proseguendo sul solito corso, si raggiunge la Torre Rossa, uno dei più vecchi monumenti della città. Una leggenda narra che questa torre romanica sia stata l’ultima prigione del Santo Patrono della città: San Secondo.

La sua denominazione invece potrebbe derivare dalla colorazione della torre stessa o dalla famiglia De Rubeis, che pare possedesse proprie abitazioni nelle vicinanze.

La nostra visita della città, giunge al termine, proprio ai piedi di Piazza Cattedrale, dove si trova uno degli edifici più pregevoli di tutta Asti: la Cattedrale di Santa Maria Assunta. La Cattedrale è una delle massime espressioni gotiche di tutto il Piemonte, frutto di un progetto edile dato da tre ricostruzioni, succedutesi nell’arco di settecento anni.

A completare il panorama architettonico esterno è il campanile, che risale al 1266, ed è un pregevole esempio di stile architettonico romanico.


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