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martedì 17 settembre 2013

Santa Maria di Ronzano a Castel Castagna é una delle più belle testimonianze storico-culturali che offre la provincia teramana.

Santa Maria di Ronzano é una delle più belle testimonianze  storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone. 

La Chiesa, edificata nel 1171, é una meravigliosa combinazione di natura e di arte, con la sua facciata absidale e le celle campanarie dietro cui svetta il Corno Grande.

E' uno scenario incantevole: siamo nel bel mezzo della Valle Siciliana dai greci chiamata la “Valle dei fichi e degli olivi”dove più di tremila anni fa vi abitavano i siculi, come riferisce lo storico Tucidide. 

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Purtroppo l'incuria del tempo o, forse, le vicende di un antico vissuto privano oggi il visitatore di ciò che fu l'antichissimo cenobio benedettino il cui abate ronzanese era alle strette dipendenze del San Nicola di Bari.

Del resto nelle numerose testimonianze scritte sulla chiesa abbaziale di Ronzano ricorrenti sono i riferimenti pugliesi e pisani ma anche i richiami d'Oriente impressi nelle arcate cieche e nelle belle decorazioni di cui sono pieni i muri di questo importante monumento ricco di tesori come ad esempio la statua lignea gotica raffigurante la Madonna col Bambino, riesposta di recente dopo un attento e lungo restauro.

Lasciata la piccola frazione di Ronzano l’itinerario prosegue verso la vicina Castelli: famoso borgo incastellato alle pendici del Monte Camicia dove la manualità e l'ingegno sviluppatisi nel corso dei secoli hanno espresso un artigianato d'eccellenza nell'arte e nella lavorazione della ceramica. 

Lo stile architettonico della chiesa è caratterizzato da una chiara impronta di stile romanico – pugliese che si ritrova nell'impostazione delle finestrature, negli archi ciechi della zona del presbiterio e nella pianta che, sebbene internamente racchiuda tre absidi semicircolari, esternamente appare rettilinea. Queste caratteristiche accomunano la fabbrica di Ronzano alle chiese pugliesi della cattedrale di Bitonto, del duomo di San Corrado a Molfetta e della basilica di San Nicola a Bari.

Affreschi.

Il catino absidale contiene un ciclo d'affreschi medievali su cui la critica storico-artistica ancora dibatte : sono variamente datati 1181 o 1281, in base all'interpretazione che viene data dell'iscrizione dipinta che corre alla base della calotta absidale. Nella calotta absidale è rappresentato Cristo benedicente all'interno di una mandorla, attorniato da quattro angeli in volo: nella mano sinistra tiene un disco su cui è scritto EGO SUM LUX MUNDI o altrimenti EGO SO(L)LUS MUNDI.

Chiesa_di_Santa_Maria_di_Ronzano3Nel primo registro della parete absidale sono rappresentati i dodici apostoli, con al centro la rappresentazione dell'Annunciazione, con la Vergine Maria e l'arcangelo Gabriele, rispettivamente alla destra e alla sinistra della finestra.

Nel secondo registro iniziano le scene relative all'infanzia di Cristo: la prima scena a sinistra mostra la Visitazione della Vergine Maria a S. Elisabetta; segue la Natività di Gesù, con il Bambino doppiamente rappresentato.

Al centro della parete e immediatamente sotto la finestrella, è rappresentata l'Adorazione dei Re Magi, con la Madonna seduta in trono e il Bambino Gesù in braccio: purtroppo le figure dei Magi sono completamente scomparse, rimane solo una parte del cavallo riccamente agghindato.

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Segue la scena della Fuga in Egitto, con la Madonna seduta sul somaro insieme al Bambino e S. Giuseppe li guida, tenendo sulle spalle un bastone con appeso un fagotto e un barilotto, e indossa il pileus cornutus, il berretto a punta utilizzato nel XIII secolo come elemento distintivo per gli Ebrei. Nell'ultima scena del secondo registro è raffigurata la Strage degli Innocenti e in molti l'hanno collegata alla scena sottostante, l'ultima del terzo registro, variamente interpretata come le Pie Donne al sepolcro o le madri piangenti degli Innocenti.

Sul terso registro sono rappresentate le scene relative alla Passione di Cristo: la prima raffigura il Bacio di Giuda e la Cattura di Cristo operata da una moltitudine di soldati vestiti con l'armatura; segue Cristo davanti a Pilato, portato da un soldato; la Flagellazione di Cristo, con ai lati due soldati forniti di scudiscio e bastone; al centro della registro è la Crocifissione, in parte scomparsa, ma si riesce ancora ad ammirare la figura di Longino a sinistra con la lancia e la figura dell'altro soldato con il secchiello dell'aceto. Segue la Richiesta del corpo di Cristo e Pilato da parte della Madonna e di San Pietro; poi la Deposizione nel sepolcro, e l'ultima scena già sopra menzionata.

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Da vedere
Soffitto Maiolicato della Chiesa di San Donato, “La Sistina della maiolica”: 780 mattoni votivi AD 1615-1617; Raccolta Internazionale d'arte ceramica, più di cinquecento opere di artisti di 50 nazioni esposte presso l'Istituto d'arte; Presepe Monumentale, 54 statue in ceramica a grandezza naturale costruite dagli allievi dell'Istituto d'Arte 1965-1975.

La cucina
Oltre alla natura e alla storia la sosta può essere allietata dalla scoperta di piatti tipici di una rinomata gastronomia ricca soprattutto di “primi” come i maccheroni con le pallottine, il timballo di crispelle, le scrippelle ‘mbusse, ossia in brodo, e se capitate in zona il primo maggio non dimenticate “le Virtù” in omaggio alle buonissime erbe di stagione cucinate in modo tradizionale e casalingo con tanti tipi di pasta.

Sempre nella zona di Castel Castagna non mancano salumi e formaggi pecorini prodotti in maniera artigianale che si possono acquistare direttamente dai produttori o presso le aziende agrituristiche.

Informazioni
Centro informazione turistica Provincia di Teramo
Tel. 0861/ 331295-331537- Fax 0861. 331263-331545

Come arrivare
Autostrada A 14 uscita Roseto degli Abruzzi - Autostrada A 24 uscita Isola del Gran Sasso-Colledara.

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lunedì 16 settembre 2013

Castello De Cesaris a Spoltore, costruzione antica, la cui fondazione è avvolta nel mistero.

Quando il padre le donò l’antico e malandato fabbricato, noto a Spoltore come “il castello”, la signora Luciana De Cesaris era una giovane donna che svolgeva a Roma l’attività di arredatrice e lì coltivava i suoi interessi.

All’improvviso si ritrovò proprietaria del grande edificio che negli anni della sua infanzia aveva ospitato, oltre alla scuola e ad alcune botteghe di artigiani, anche la caserma dei carabinieri con le oscure prigioni, dove ancora ricorda di aver visto rinchiudere un ladro.

La famiglia De Cesaris lo aveva acquistato nel 1935 da un ricco possidente di Spoltore insieme ad alcuni terreni ma non si era mai interessata troppo alla cadente costruzione da tempo data in affitto ai carabinieri. Anzi quando questi ultimi la abbandonarono considerandola inagibile, ci fu un tentativo, non riuscito, di venderla al Comune, che già possedeva un terzo dell’intero fabbricato.

castello de cesaris

Non diverso era l’atteggiamento della giovane Luciana che, tuttavia, per non deludere le aspettative del padre, avviò l’opera di restauro all’inizio degli anni sessanta.

Visto dall’esterno del paese il castello si presentava come una fortezza dal muro perimetrale imponente ed omogeneo con qualche finestrella e una sola apertura in basso. Diversamente l’altra facciata, non modificata dai successivi lavori, guardava verso il centro storico della cittadina con le sue sobrie forme di settecentesco palazzo gentilizio, sovrastato, in modo originale, da una torretta di avvistamento. All’interno le grandi superfici del piano terra erano occupate dai magazzini, da sette cisterne per conservare acqua e grano e da una stalla per dodici cavalli. Al piano superiore varie sale comunicanti si rincorrevano attorno ad una piccola chiostrina.

La ristrutturazione, avvenuta in varie fasi, interessando all’inizio solo la facciata esterna e le stanze sul giardino, lo ha trasformato in una prestigiosa abitazione senza però stravolgerne l’originaria struttura. Sono, anzi, riaffiorate le tracce di antichi affreschi ed è tornata alla luce la pavimentazione di ciottoli di fiume dell’ampio corridoio, dove, con molta probabilità, passavano le carrozze ed i cavalli dei signori d’altri tempi.

Il grande magazzino cinquecentesco, dalle volte a crociera sorrette da colonne, è diventato il grande salone del piano terra, dal quale, però, attraverso due botole si può ancora accedere ad un’enorme cisterna e ad un piccolo rifugio, proprio quello in cui furono trovati fucili che risalgono al periodo risorgimentale. La suggestione del racconto fa subito pensare al periodo delle cospirazioni e dei moti carbonari, che coinvolsero marginalmente anche questi territori, e gli angoli più remoti dell’edificio appaiono luoghi ideali per incontri segreti.

Delle inquietanti atmosfere di quel passato non rimane che il sapore dei ricordi e delle fantasie mentre soltanto di recente la pubblicazione dei lunghi studi di Giustino Pace ha fatto piena luce sulle vicende storiche di Spoltore, alle quali la vita del castello, detto palazzo Castiglione, si intreccia profondamente (G. Pace, Spoltore. Dalle origini all’avvento del Fascismo, Libreria dell’Università Editrice).
Le zone buie non ci sono più e attraverso vetrate e finestre, sapientemente aperte sul muro della fortezza, il giardino e la verde campagna circostante entrano in casa e i vivaci occhi celesti della signora Luciana, che ci accompagna a visitarla, si illuminano quando guardano all’esterno e possono godere della bellezza del paesaggio nell’ora del tramonto.

Gli arredi e le suppellettili sono stati scelti con cura e rivelano il tocco esperto dell’arredatrice che, unendo al buon gusto una notevole inventiva, ha saputo conferire agli ambienti l’importanza e la preziosità che si addicono a ciò che è antico, ma anche la confortevolezza richiesta ad una moderna abitazione. La duplice identità che ne deriva, di palazzo di rappresentanza e di casa della nonna, ricca di calore e di ricordi, accresce il fascino dell’intero edificio e gli conferisce un carattere di unicità che lo fa sfuggire a precise classificazioni.

Dal momento in cui è tornato a vivere il castello è stato anche riaperto alla comunità spoltorese. Sin dall’inizio, infatti, la proprietaria aveva coltivato il sogno di rilanciare l’artigianato nel centro storico. Per questo spalancò le porte dei magazzini sulla piazza per ospitare, negli anni 1973-74 la grande mostra di mobili antichi, manifestazione che ebbe notevole successo anche grazie all’entusiasmo e alla disponibilità di alcuni antiquari romani, suoi amici.

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Gli stessi locali, sempre negli anni settanta, furono usati anche per le cinque edizioni della rassegna di artigianato femminile, ideata dalla signora De Cesaris per valorizzare il paziente e raffinato lavoro delle donne spoltoresi, che da generazioni si dedicano all’arte del ricamo e della tessitura. Inoltre, in tempo di vendemmia, la grande cantina diventava sede della mostra di vini, festosa ed importante manifestazione della quale rimane il ricordo nelle immagini giocose realizzate sulle pareti dei magazzini da un artista inglese.

Ormai le botti sono vuote e il castello è diventato “casa De Cesaris”. 

Non per questo i giovanili progetti sono sfumati, al contrario l’idea di avviare una scuola-bottega di ceramica, utilizzando gli ampi locali che aprono le loro porte sulla strada, ancora accende l’entusiasmo dell'intraprendente proprietaria che aspira a costituire un’associazione che coordini le proposte di quanti vogliono contribuire a salvare il centro storico di Spoltore facendo rifiorire le botteghe artigiane. Non c’é che da augurarsi che il sogno si tramuti in realtà.

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sabato 14 settembre 2013

Una Gita Fuori Porta: i 10 post più cliccati nel mese di Agosto 2013.

1.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).

villa-dragonetti-de-torres7_thumb[2]Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa.  Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile. Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività, moderna per i tempi, nella decorazione ossessiva e minuziosa dei siti abitativi interni che si susseguono, uno dopo l'altro, in cui si giunge a gustarne l'apoteosi della sua purezza stilistica.

 

2.- Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (1a parte).

villa-dragonetti-de-torresL’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso.Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.

 

3.- San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati.

san-gimignano1-620x462San Gimignano è incantevole anche sotto la pioggia, quando i suoi vicoli si riempiono di un fiume disordinato di ombrelli colorati. Quando il cielo prende il colore della pietra con la quale sono costruiti i palazzi, ma viene movimentato dalle variopinte bandiere delle sue contrade. Quando una certa bruma la avvolge, donandole quel fascino misterioso e schivo capace di trasportarti indietro nei secoli fino all’epoca medioevale. Quella delle lotta per le investiture, tra Guelfi e Ghibellini, qui rappresentati dagli Ardinghelli e dai Salvucci, quella delle botteghe e dei mercanti, quella delle famiglie benestanti che per ostentare al mondo il proprio potere economico e sociale ordinavano la costruzione di una torre. E se una avesse mai prevalso su un’altra, la rispettiva torre veniva rasa al suolo in segno di sconfitta. Opere architettoniche che, non a caso, sono valse a definire questo borgo con l’appellativo di “città delle torri”. Nella San Gimignano del Trecento esse erano in numero assai maggiore rispetto ad oggi: 72 contro le attuali 15 (c’è chi indica anche 14 o addirittura 16).

 

4.- Capraia è un’isola di cui ci si innamora appena vi si poggiano gli occhi e si può iniziare a sognare.

capraia-03-620x462I greci la chiamarono Aigylion, poi i Romani Capraria, per la presenza di capre selvatiche, si dice, o per la sua roccia (Karpa) di origine vulcanica. Isola selvaggia, dove uomo e natura convivono in un equilibrio da copiare. Non è un’isola turistica, la stagione apre in primavera con il ‘Walking Festival’ e chiude a Novembre con la tradizionale ‘Sagra del Totano di Capraia’. In questi 5 mesi, tra un evento e l’altro, c’è da visitare. Escursioni a piedi, per i camminatori: un percorso ad anello di 10 km (impegnativo) che porta a Lo Stagnone, dove grazie a un microclima particolare diventa oasi naturale per molte specie di uccelli che vivono nell’isola.  L’occhio si perde tra le meraviglie della natura; mirto, elicriso, lentisco e rosmarino selvatico circondano i sentieri, macchia mediterranea su roccia vulcanica, quindi, niente ombra, niente alberi. Qualche muflone, qualche serpentello innocuo, nei pressi dello stagno. E poi mare. Mare di quel blu che sembra disegnato. Di quel blu che non è cielo, non è acqua, ma è mare, mare di Capraia.

 

5.- Escursioni di un giorno nell’area turistica Gran Paradiso: Jovençan - Col de Vertosan.

Gran Paradiso Jovençan - Col de Vertosan

Descrizione del percorso:

Raggiunta la località di Jovençan, nel comune di Avise, proseguire sulla strada poderale e, dopo aver superato l‘Alpe Tronchey, raggiungere l‘imbocco del sentiero n° 30 indicato in loco dalla segnaletica verticale. Risalendo il versante, tra pascoli alpini e falde detritiche, si supera l‘alpeggio di Méanaz e si raggiunge il Col di Vertosan.

Periodo Consigliato:

1 Luglio - 30 Settembre

Difficoltà:
E - Escursionistico

 

6.- Escursionismo in Liguria: Colle della Melosa, Monte Toraggio e Monte Pietravecchia.

Si parte dal Rifugio Allavena al Colle della Melosa (1540) raggiungibile in 40 km da Arma di Taggia. Si segue la strada sterrata ex-militare fino al primo tornante dove si imbocca la mulattiera che si stacca sulla sinistra e che conduce all'inizio del "Sentiero degli Alpini".  Il Sentiero degli Alpini, in alcuni tratti scavato nella roccia, costeggia le pareti orientali del Monte Pietravecchia e raggiunge con un ripido zig-zag la Gola dell'Incisa (1685), stretto intaglio sullo spartiacque Roia-Nervia al confine tra Italia e Francia. Dopodichè prosegue a mezzacosta sotto il Toraggio fino ad incontrare l'Alta Via dei Monti Liguri (segnavia  ) risalente dalla Gola di Gouta.  Si svolta a destra e con una breve salita si guadagna il crinale al Passo di Fonte Dragurina (1810) alle pendici meridionali del Toraggio. Da qui si segue una labile traccia (EE, alcuni bolli rossi) fino in vetta al Monte Toraggio (1973).

 

7.-  Lago di Como, passeggiando o facendo un giro in battello è possibile godere di fantastici scorci e panorami.

lago di Como

Il lago di Como ha una superficie di 146 km quadrati e raggiunge 414 metri di profondità. E' il terzo lago italiano per estensione dopo quello di Garda e il Verbano. E' un lago stretto e lungo, dalla forma di Y rovesciata, con i due rami che vanno a sud verso Lecco e a sud-ovest verso Como. Nei Promessi Sposi il lago di Como viene decantato dal Manzoni con questi celebri versi: "Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno....".
Il bacino è composto da tre parti differenti: a sud-ovest il ramo di Como, a sud-est il ramo di Lecco e a nord il ramo di Colico (o "alto lago"), il più aperto dei tre. I fiordi meridionali rinserrano il montagnoso Triangolo Lariano. La divisione dei tre rami è ben visibile dal Sasso di San Martino, sopra Griante. Particolarmente tipica è la costa orientale del ramo comasco, impervia e ricoperta di boschi.

8.- Portofino è da sempre soprannominata la "Piazzetta" più bella del mondo.

Portofino è senza dubbio uno dei borghi marinari più belli e famosi del mondo. Negli anni 60' e 70', star come Ava Gardner, Frank Sinatra, Brigitte Bardot e Lauren Bacall, Humphrey Bogart, Elizabeth Taylor e Richard Burton, Clark Gable, Catherine Deneuve, Liza Minelli e Rex Harrison, frequentavano l'Italia per appassionanti incontri mondani pieni di suggestione.
I giornali di quell'epoca che si occupavano di mondanità, facevano a gara per raccontare nel mondo queste storie piene di fascino e di mistero che hanno reso celebre l'Italia, come simbolo della "Dolce Vita" Internazionale quando si animava in Via Veneto e Piazza di Spagna a Roma. Oggi è ancora luogo d’incontro del jet-set e turismo internazionale.

9.- Gli Itinerari nel Parco della Lessinia: percorsi di tipo naturalistico - ambientale, strutture museali e importanti siti archeologici.

lessinia parco fioreIl Parco Naturale della Lessinia occupa la parte sommitale dei Monti Lessini. Ha nelle particolarità geologiche e nei paesaggi che da esse conseguono la sua più forte connotazione: doline, grotte, ponti naturali, sono fenomeni di grande interesse scientifico che offrono al visitatore incantevoli visioni. Famosi sono i giacimenti fossiliferi di Bolca - Pesciara e Monte Postale, che hanno fornito reperti di specie vegetali ed animali degli ambienti lagunari e oceanici, oggi apprezzabili nel locale Museo dei Fossili. Di notevole interesse sono anche gli aspetti vegetazionali e faunistici visitabili nei Musei della Lessinia e nel Centro di educazione Ambientale di Malga Derocon.

10.- Bioparco di Roma, nel cuore di Villa Borghese, la natura vista da vicino.

Situato nel cuore di Villa Borghese, al centro di Roma, il Bioparco nasce nel 1911 ed è uno dei più antichi Giardini Zoologici d'Europa. Oggi ospita oltre 1.000 animali appartenenti a 200 specie tra mammiferi, rettili, uccelli e anfibi ed è inserito in un contesto botanico tra i più interessanti e suggestivi di Roma con più di 1.000 alberi, alcuni dei quali rari e centenari. Qual è il ruolo di uno zoo? Negli ultimi decenni l'antico concetto di zoo è cambiato radicalmente, passando da un luogo in cui si collezionavano animali rari ad una struttura attiva:
- nella conservazione delle specie minacciate di estinzione attraverso la partecipazione ai programmi internazionali di riproduzione in cattività;
- nell'educazione ambientale attraverso mostre, convegni, attività di sensibilizzazione per il pubblico, eventi mediatici e progetti didattici per le scuole.

5.- Il lago d'Orta o Cusio è un lago alpino del Piemonte collocato tra le province di Novara e del Verbano-Cusio-Ossola.

Il Lago d'Orta, che si trova ad ovest del Lago Maggiore, lascia il turista con una sensazione unica ed indimenticabile grazie ai suoi panorami mozzafiato, le sue vie strette e ciotolate e la sua vegetazione.
Ad est il monte Mottarone separa il lago d'Orta dal Lago Maggiore, mentre a ovest monti alti fino a 1300 metri separano lo specchio acqueo dalla Valsesia. È il più occidentale fra i laghi prealpini, originato dal fronte meridionale del ghiacciaio del Sempione. Contrariamente a quanto accade con molti laghi alpini, che hanno un emissario a sud, le acque del lago d'Orta escono dal lago a nord. Attraversano la città di Omegna dando vita al torrente Nigoglia che confluisce nello Strona che, a sua volta, sfocia nel Toce e quindi nel Lago Maggiore.

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giovedì 12 settembre 2013

Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (2a parte).

Qui la decorazione parietale ad affresco viene intervallata, in entrambi i lati, da nicchie che accolgono una serie di busti marmorei di epoca romana, reperti provenienti dal mercato antiquario da cui i Dragonetti attinsero e che contribuì ad arricchire l'ordine decorativo della villa. 

Da questo stesso mercato è sicura la provenienza anche delle realizzazioni, di cui si trova traccia sul frontale principale, dei copisti dell'ottocento. Opere che riproducevano tipologie standard di sculture a rilievo desunte dalla produzione antica. Siano essi fregi o medaglioni ma, comunque, adatti a scandire, con la loro ritmia di posizione, le aperture di luce del piano nobile.

Se queste aggiunte antiquarie per quel che riguarda l'architettura della villa -ancora immersa nel settecento- sono un'anticipazione dello stile neoclassico, quest'ultimo trova maggiore unitarietà ed espressività, moderna per i tempi, nella decorazione ossessiva e minuziosa dei siti abitativi interni che si susseguono, uno dopo l'altro, in cui si giunge a gustarne l'apoteosi della sua purezza stilistica. E' il caso, ad esempio, del grande salone che si affaccia, sulla destra, sul giardino all'italiana.

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La lettura, però, del solo testo architettonico costringe a continui riassetti sulla identità e collocazione dello stile dominante. Risistemazioni, sicuramente, dovute ad una discontinuità degli intenti architettonici in relazione alle loro funzioni. Difatti, e come esempio, il vasto ambiente della "danseuse" -oggi disposta per essere una delle sale atte alla ristorazione- che ha avuto bisogno, all'origine, di una accentuazione dell'ideazione della struttura settecentesca per supplire ad una mancanza: quella della luce.

Ma tale empasse stilistica in un corpo che si voleva nuovo, neoclassico appunto, scompare, a volte, immediatamente e, nell'ambiente subito adiacente, come ravveduti dal peso della tradizione e coadiuvati dalla leggerezza inventiva e cromatica delle nuove pitture parietali, di gran moda all'epoca, ritrova vigore la fisionomia di un carattere architettonico del tutto rinnovato.

L'evidenza di questa discontinuità di stile, sul piano pittorico, è testimoniata anche dalla qualità delle pitture ad affresco diversamente riversate sulle pareti e sui soffitti. Infatti, là dove la decorazione svolge il tragitto del neoclassicismo maturo, la sua modernità si evidenzia nella razionalizzazione dello spazio, nel ritmo costante, nella ripetizione insita ad una produzione che si avvia ad essere alto artigianato, dove anche il "grotesque" -antica maniera derivata dalla pittura pompeiana e ritradotta già nel rinascimento tenendo presente gli affreschi della Domus Aurea- ridiviene espressione del nuovo.

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Modernità che invece non si riscontra nelle pitture ogivali dei soffitti delle maggiori sale, di rappresentanza, situate alla destra del salone delle feste. Dipinte con scene mitologiche, e non -si prediligevano, per l'occasione, illustrazioni di luoghi e costumi lontani- che si adagiavano su di una pittura ancora deferente verso i canoni tradizionali seicenteschi, ancora ben forti all'epoca, e testimonianza viva, della querelle tra arte e artigianato che proprio da quel momento segnano il percorso del moderno. 

Difatti, la finitura eccellente dei grotesque, la loro leggerezza e la cromia, nuova e fantasiosa dispiegata in loro, con colori molto luminosi e volutamente appiattiti, mal sposano in uno stesso ambiente le rappresentazioni di vedute stilisticamente agganciate alla tradizione, come i desueti soggetti arcadici. 
Tuttavia, nel riscontro di questa discontinuità , che forse testimonia anche la diversità di gusto della committenza, nel tempo, e delle maestranze in opera a Paganica -le fonti documentarie su villa Dragonetti De Torres sono in gran parte disperse o, per quel che resta, di difficile consultazione- è possibile, per noi oggi, rintracciarvi anche quella caratteristica, tutta inscritta nell'illuminismo settecentesco, della curiosità documentaria per tutto ciò che è lontano e, quindi, esotico. Curiosità che correva parallela ad una originale e originaria necessità di documentarsi, di essere per la scienza e non per la superstizione.

Questo tipo di approccio alla catalogazione del nuovo e del diverso, attraverso la riproduzione con le immagini, non riportava però l'oggetto ritratto nella sua esattezza reale -a cui oggi, invece, si è abituati attraverso l'uso di strumenti che la ottengono operando di fronte ad esso: la fotografia- ma come assemblaggio di particolari in gran parte prodotti dall'immaginazione e dal sentito dire.

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Questa sfasatura sulla resa del reale è evidente quando, passando dalla galleria agli appartamenti nobiliari -utilizzando il breve ordito della scalinata che ha, successivamente, un proseguo di comunicazione con i piani superiori- ci soffermiamo sulle immagini curiose e intriganti che vanno a formare il bestiario dipinto diffusamente sulle pareti. E così, se il fiero mastino sembra essere lì in carne ed ossa, reale -attraverso l'artificio del trompe l'oeil- il calandrino, il formichiere e gli altri animali ci appaiono lontani prodotti di una fantasia che civetta con il pressapoco. Le loro raffigurazioni sembrano intuite dai racconti piuttosto che selezionate dall'occhio. A totale beneficio dei semiologi, possiamo affermare che il testo pittorico era funzionale a quello narrativo/descrittivo, di fatto, quest'ultimo, lo precedeva.

Tale è la misura della quantità di particolari stilistici che attraggono nelle pitture a decoro sulle pareti, che si riesce a ben sopportare la mancanza, quasi totale, dell'arredo mobiliare originale.

Il ricco patrimonio di mobili, anch'esso custode di un gusto insuperato, è stato disperso sul mercato antiquario dalle varie generazioni dei Dragonetti che si sono succedute nella proprietà di Paganica, ed è risultato impossibile, per l'attuale proprietario, ritrovarne le tracce delle unità compositive, in modo da poterne reinserire delle similari. Compito, quest'ultimo, che ingigantirebbe, enormemente, l'apporto economico per una resa compiutamente esaustiva dell'intervento di restauro.

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Possiamo, oggi, solo immaginare la teoria di cassettoni e gueridon con intarsiate greche e medaglioni con vedute e chinoiseries, con i loro pianali in marmo bianco e gambe, a tronco piramidale, che irrigidivano lo stile, ormai sorpassato, di Luigi XVI. Ma anche l'eclettismo raggiunto nell'abbinamento e valorizzazione di diversi tipi di legni preziosi, l'ebano e il mogano, ad esempio. Impreziositi nella decorazione, che già tende ad una funzionalità nuova, dal bronzo, cesellato o dorato, che forniva un panorama vasto di cariatidi, cigni, teste leonine e quant'altro di significativo, sul piano dell'immagine, la rilettura del classico portava a nuova vita.

E', invece, sufficiente rintracciare nella forma, come anche nella leggerezza del colore di un semplice paio di ali di putto o nel figurino di una dama, l'influenza del tratto stilistico caro a Fussli -insuperato artista del nord Europa che, primo, interessò la sua arte ad essere documento di un gusto e di uno stile di vita mondano- per sopportare qualsiasi altra mancanza gli uomini e il tempo hanno impresso a villa Dragonetti.

L'intero complesso stordisce per l'eccesso di una offerta. Il visitatore, o i prossimi e futuri ospiti, nel lungo tragitto, tra soffitti a cassettoni che sfidano nella loro ricchezza decorativa la natura e preziose cappelle private in cui si sono alzate e depositate implorazioni, purtroppo umane, ancora udibili, è soggetto ad una pressione continua che raggiunge la sua potenza maggiore in quel luogo, angusto e privato, della torretta sommitale da cui lo sguardo, abbacinato dalla troppa luce, si ritrae.

Questo gesto nel tentativo di salvare precipita, invece, l'azione della retina, che si adagia sconfitta e remissiva ad accogliere il saluto dell'Olimpo intero, degli Dei che festosi ed inaspettati gli si pongono innanzi.

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mercoledì 11 settembre 2013

Gli interni abruzzesi della villa Dragonetti De Torres a Paganica (1a parte).

L’incontro con la villa Dragonetti De Torres a Paganica, per chi vi é stato  sospinto dal suo richiamo, è improvviso. La prospettiva della facciata si mostra nella sua interezza subito dopo una doppia curva, che sfiora e subito abbandona il centro cittadino e costringe lo sguardo verso un punto di fuga che si posiziona alle falde, molto prossime, del Gran Sasso. 

Questo primo gioco ottico ci consegna subito una costante della conca aquilana, dove il massiccio montuoso gioca la sua predominanza e dona un significato particolare, nel rapporto segnico-spaziale, a tutto ciò che lo circonda. L'impressione che si riceve, sotto la regia di un tale denominatore/dominatore comune, va a rafforzare la funzione antica della villa, cioè quel rapporto segnicamente forte sui possedimenti terrieri dei Dragonetti De Torres nel territorio preurbano.

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La Villa si posiziona come esatto pendant del castello di Lucoli che, a sua volta, esercitava il controllo sulla proprietà patrizia a nordovest della città dell'Aquila. Tanto che, andando a ritroso nel tempo, è cosa ovvia portare a mente che la dimensione di questa funzione sul territorio, vista nel momento di massima espressione della potenza dei Dragonetti De Torres, realizzava la sua perfezione d'immagine giocando con un punto preciso del centro della città aquilana, rappresentato dal palazzo di città della famiglia, sede, oggi, di importanti istituzioni.

Dai racconti raccolti sul luogo, facilmente suffragati anche dalla sola osservazione del terreno antistante la villa, possiamo immaginarne l'antica e dolce inclinazione che conformava un proscenio del tutto particolare. Proscenio che si distendeva sino a lambire il corso delle acque che, con naturalezza, discendevano dal massiccio e che oggi, invece, noi troviamo costrette, nella loro scarsa portata, a districarsi attraverso una cementificazione indiscriminata.

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I leoni scolpiti nella pietra, che anticamente erano posti a guardia dell'ingresso della villa e che dominavano la strada -ad essere più precisi un camminamento- oggi mal raggiungono con la loro pericolosa fierezza l'interesse disattento degli intrusi. Attualmente nascondono i loro ruggiti di pietra dietro l'impenetrabilità del muro di cinta che perimetra tutto l'edificio.

Questa costrizione subita dal fronte della villa, che ha preso la forma attuale man mano nel tempo, per un esercizio del paradosso dilata la vasta estensione, a prato e a ghiaia, posteriore, che conduce, dolcemente, all'altro ingresso non meno ricco architettonicamente e in dialogo fluente con la struttura del giardino all'italiana che s'intravede attraverso l'alta siepe perimetrale di bosso.

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Con immaginazione, oggi, possiamo comprendere ciò che intimamente animava la visione che si offriva a chi ruotava lo sguardo, verso destra, di centottanta gradi -dal frontale con le prime ripartizioni del giardino alla parte postriore con la sua distesa ampia- quella sensazione complessa ed esaltante del possesso. La vera essenza dell'essere padroni e padroni del mondo, tanto vasto e ricco di segni era il dominio che si mostrava.

La villa, da non molto tempo, ha iniziato una fase nuova della sua storia che la dispone ad una funzione diversa e contrapposta all'antica, rivolta ad una propria autoaffermazione, ad una flessione quasi sensuale, fortemente tesa verso l'ammirazione della propria bellezza, ad un conclusivo gesto narcisistico da fine atto, proprio come il gesto, rallentato dalla storia, di una Gran dama nella tarda ora della sua lunga vita.

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Il nuovo proprietario di villa Dragonetti è Paolo Barattelli. E' sufficiente l'appartenenza a questa famiglia, che tanto lustro ha dato negli ultimi decenni alla storia aquilana, per avere la certezza di una garanzia sulla salvaguardia e sul futuro della villa di Paganica.

L'impegno assunto dalla nuova proprietà, nelle operazioni di stabilizzazione delle parti più a rischio dell'edificio e nel restauro degli affreschi e delle pitture della decorazione interna, riconsegna, oggi, nella sua compiutezza la bellezza formale della residenza di campagna.

Il risultato ottenuto offre, oggi in Abruzzo, un modello raffinato ed elegante di relais di campagna che non ha nulla da invidiare a quelli, ritenuti insuperabili, della Toscana o dell'Umbria. 

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La posizione, la luce, la maestosità dell'edificio con i suoi aspetti particolari ci fanno gustare una bellezza ed una ricchezza così particolari che si stenta a conciliarli con la severità propria del luogo.

Villa Dragonetti De Torres è, per svariati motivi, il disegno di un azzardo epocale. Difatti, già gli anni della sua edificazione, quelli tumultuosi e provvidi di profonde trasformazioni a cavallo tra settecento e ottocento, la vedono come tale.

I moti rivoluzionari che interessarono Napoli ed il Regno nel 1799 seguivano le trasformazioni profonde marcate dalla madre di tutte le rivoluzioni: quella francese del ‘93. Le classi sociali europee più intrise d'illuminismo ebbero, quindi, il bisogno impellente d'imprimere nell'accelerazione della storia un'immagine di sé totalmente rinnovata, tanto nelle idee quanto nel gusto e nello stile.

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La traduzione degli stilemi del classicismo, in quegli anni, percorsero tutte le direzioni possibili, da quella semplice e pubblica dell'oratoria con cui si arringavano popoli ed eserciti, all'architettura, alla decorazione, all'arredo e al disegno degli abiti, e villa Dragonetti porta impressa in sé una coniugazione incessante di questi generi.

Si può azzardare nell'affermare che la sua ansia di registrazione l'ha lasciata come archivio ideale di un'epoca, dal quale possiamo portare ad evidenza con facilità le sue icone più significative.

Già dalla galleria, al piano terra, che collega i due ingressi, si può osservarne la dinamica evolutiva.

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