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sabato 5 dicembre 2009

I siti archeologici dell'isola di Sant'Antioco, terra di bellezza..

Sant'Antioco, terra di bellezza.

Sbarcare a Sant'Antioco è un'appagante sensazione di gioia che si rinnova da oltre due Millenni.

Testimonianze nuragiche, fenicie, romane e persino sabaude si susseguono in un territorio ancora tutto da esplorare. Audaci, straordinari navigatori quei fenici, ma anche scopritori di bellezze, da loro puntualmente segnate come "capisaldi" della loro "via del sole". Non c'e luogo da loro svelato che non sembri -ancor oggi- un lembo di cielo tirato giù sulla Terra per esser poi bagnato dal mare. Come l'isola di Sant'Antioco in Sardegna.

"Su Para e sa Mongia"
Si tratta di due menhirs (pietre messoe verticalmente piantate nel terre­no) ovvero simboli aniconici (cioè sim­boli che non ammettono immagini) connessi con la religione della fertilità delle popolazioni prenuragiche (3000 a.C. circa).

I primi abitanti dell'isola avevano il culto della Dea Madre. Essa rappresentava la natura, la terra, il mare, le stagioni, la fertilità, il principio della vita. Spesso in prossimità dei villaggi, venivano collocati due grossi betili simboleggianti i dure principi della vita, il maschio e la femmina. Un esempio di ciò lo roviamo nei betili che sorgono all'ingresso dell'istmo di Sant'Antioco, noto come "Su para e sa Mongia".

Si suppone che lì vicino sorgesse un villaggio di capanne e che i due betili testimoniassero la presenza degli dei nella comunità.



I Tophet
La parola tophet è un termine di origine biblica che indicava un luogo, nei pressi di Gerusalemme, nel quale venivano bruciati e sepol­ti i bambini, e che oggi, convenzionalmente, indica le aree sacre di età fenicia, punica rinvenute in Sardegna, Sicilia e Tunisia e nelle quali sono state recuperate urne contenenti ossa bruciate di bambini e di ani­mali.

Il tophet di Sant'Antioco, utilizzato a partire dall'Vili al I sec. a.C.,si presenta come un'area all'aperto, ubicata all'estrema periferia setten­trionale dell'abitato, che si appoggia ad una roccia trachitica denomi­nata "Sa Guardia de is Pingiadas" (la guardia delle pentole) a causa della gran quantità di urne cinerarie che affioravano dal terreno. Sino ad oggi ne sono state recuperate circa 3.300.

Le urne conservano ossa bruciate di bambini, talvolta di piccoli ani­mali e qualche oggetto votivo. I resti ossei per lungo tempo sono stati attribuiti ad un rito sacrificale cruento, che prevedeva l'uccisione ritua­le dei primi nati, mentre oggi l'indagine osteologica testimonia che la maggior parte dei bambini cremati nel tophet erano nati morti o dece­duti per causa naturale in tenera età e che i resti animali erano una com­ponente del rito stesso.

Le urne, solitamente deposte tra le cavità naturali della roccia, sono spesso accompagnate da stele di pietra (ad oggi se ne contano circa 1.700, conservate nei musei di Cagliari e di Sant'Antioco) recanti immagini umane, simboliche e più raramente di animali connesse al rito che si svolgeva nell'area sacra.

Il complesso delle stele di Sulci è uno dei più interessanti cono­sciuti, e al Museo Archeologico è possibile ammirarne una selezione che, per quanto ristretta, rappresenta le tipologie principali e gli svi­luppi iconografici elabo­rati nelle botteghe lapicide sulcitane.

Villaggio Ipogeo
Si tratta di un suggestivo villaggio costituito da ipogei di epoca punica scavati sulla nuda roccia e riutilizzati, a partire dal XVII secolo, come abitazioni dalle classi più povere del paese fino agli anni 1950.

Con il nome impro­prio di "grotte" si indica quella parte di necropoli punica formata da tombe a camera scavate nel tufo, trasformate dalle famiglie più povere di Sant'Antioco.

L'estensione originaria della necropoli era di oltre sei ettari e considerando che in media ogni tomba occupava quaranta metri quadrati si puo' valutare che il numero di ipogei fosse di circa millecinquecento. In base a cio' la popolazione, all'epoca, residente puo' essere stimata in 9000-10.000 abitanti, inserendo l'antica Sulky tra le citta' piu' popolose ed estese del Mediterraneo.

Oltre alle tombe utilizzate come abitazioni, i due settori attualmente visibili della necropoli sono situati, uno, tra l'altura del Fortino Sabaudo e il mare, l'altro, sotto la Basilica dedicata a Sant'Antioco.

I leoni di Sulci
Si tratta di due grandi sta­tue di leone di epoca punica realizzati con materiali ricavati da cave locali intorno al IV sec. a.C.

La loro collocazione origi­naria doveva essere ai lati della porta settentrionale della cinta muraria.

Le statue di Icone sono state rinvenute in una situazione che è chiaramente di reimpiego nell'area della necropoli.

Molto probabilmente il leone aveva la funzione di guardiano (assieme ad una scultura gemella) della porta di un sepolcro monumentale.


La fontana romana
Situata in piazza Italia o piazza "Is Solus", la più fre­quentata dagli antiochensi, forse, non a caso, proprio per la presenza di questo impor­tante monumento.

La fontana romana ha costituito sin dalla sua costru­zione e fino a poco tempo fa, la risorsa idrica più importante del paese.

La quota nella quale attualmente si apre la fontana, a tre metri di profondità rispetto all’attuale livello della piazza, rappresenta dunque l’antico piano di calpestio praticabile in età punica e romana. A nessuno sfuggirà l’importanza di una fonte pubblica già disponibile in età così antica. Occorre infatti ricordare la rilevanza dell’acqua dolce per l’antica marineria e occorre anche notare che l’antico porto era praticamente adiacente alla cosiddetta Fonte romana. Tuttavia, l’aspetto attuale dell’impianto idrico nulla ha di romano né di antico, poiché si tratta di un rimaneggiamento eseguito nella prima metà del secolo scorso.

II ponte romano
Percorso tutto l'istmo, poco prima di arrivare in paese, sulla destra, si può apprezzare il Ponte romano" (II - III sec d. C. ), utilizzato sino agli anni Cinquanta quale unica strada ili accesso. Le pietre in arenaria delle arcade costituiscono la parte originaria, mentre il resto è il frutto dei continui rifacimenti che il ponte ha subito nel corso della sua storia.

I ponti romani occupano un posizione di primario interesse nella viabilità della Sardegna romana. Si tratta di opere d’arte della rete stradale la cui appartenenza all’architettura romana è facilmente comparabile con quelli di altre provincie, nonostante i rimaneggiamenti avutisi nei secoli. Il ponte romano di Sant’Antioco, conosciuto da tutti col nome di “Pontimannu” rappresenta, come d’altronde gli altri ponti sardi, un unicum non solo nella sua forma ma anche per la posizione sul territorio.

Differentemente dagli altri collega la terraferma con un isola e non il guado di fiumi o dislivelli. Il nome ricorda l’esistenza di altri ponti, più piccoli, che legavano l’isola di Sant’Antioco al continente sardo attraverso l’unione degli isolotti dell’attuale istmo. Della sua importanza, e della necessità di interventi di restauro, abbiamo notizie pochi anni dopo il ripopolamento.

Il Fortino Sabaudo
II forte Sabaudo, conosciuto anche col nome di "Guardia de su Pisu" oppure "il Castello" domina da una collina alta 60 mt. l'abitato di Sant'Antioco. E' una piccola costruzione di 270 mq., edificato nel 1812, su una preesistente struttura punica per proteggere la cittadina dalle incursioni barbaresche. Una garitta a più feritoie controllava l'in­gresso permettendo il controllo di un vasto tratto di mare.

Il 16 Ottobre del 1815, in occasione dell'ultima incursione in Sardegna dei pirati tunisini, il forte fu teatro di una sanguinosa batta­glia, in seguito alla quale il comandante della guarnigione, Efisio Melis Alagna, dopo una valorosa ed eroica resistenza, fu ucciso dai barbare­schi. Almeno cinque abitanti di Sant'Antioco furono fatti prigionieri e portati a Tunisi in attesa del riscatto.

Restaurato di recente è stato inserito nel tour dell'Area archeologi­ca di Sant'Antioco che comprende la visita del museo Etnografico, del villaggio ipogeo e, appunto, del Fortino Sabaudo.

Come si arriva:
Nuraghe S'Ega Marteddu
L'Isola di Sant'Antioco si colloca nel Sud-Ovest della Sardegna e dista da Cagliari, il capoluogo, circa 87 km.Pur essendo un'isola, e' collegata alla Sardegna da un istmo percorribile in auto. Via mare , la Sardegna e' collegata al Continente da linee quotidiane di traghetti tutto l'anno.

Viaggiando con auto al seguito, e' sempre consigliabile prenotare con largo anticipo.I principali scali portuali della Sardegna sono in ordine di importanza Cagliari,Porto Torres, Olbia, Golfo Aranci,Arbatax,Palau. Mentre con l’aereo l'aeroporto principale di Cagliari-Elmas, soprattutto d'estate, e' ben collegato con le principali città italiane ed europee. Di recente sono state attivate anche linee low-cost.
Sono qui indicate le princincipali modalità di arrivo sull'Isola:

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