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venerdì 15 maggio 2009

Tra le brume della Langa

II fuoco del camino crepita piano men­tre all'orizzonte il sole incendia, con i suoi bagliori fantastici, i boschi di castagni. La pianura lentamente si oscura, soffusa da una nebbia azzurrina, e la notte scende dai profondi calanchi.

Nella sua bella casa sulle colline di Cortemilia, nell'Alta Langa, lo scrittore Renzo Barbieri mostra il volumi­noso manoscritto del libro che ha appena terminato di scrivere. "Per il mio ultimo ro­manzo ho tratto ispirazione da questa terra piena di contraddizioni, in cui la memoria del passato e gli stereotipi del gramo vivere contadino si intrecciano con la prelibatezza della cucina d'antan e con una speranza, confusa, ma vitale, per il futuro".

Comincia con questa conversazione l'itinerario goloso nell'Alta Langa: 43 Comuni spesso dimenti­cati da chi si occupa della "bassa" Langa, quella più conosciuta, con Alba capitale. L n territorio che può sembrare a tratti sel­vaggio, sicuramente dispensatore di miti suggestivi, come quello tutto letterario della fontana dello Scorrone, nella montagna di Castino, proprio in fronte all'abitazione di Barbieri. "Passavo allo Scarrone (così la chiama Pavese), a mezza costa per Castina - qualche casa, niente di più -, ma allo Scar­rone c'è la fontana dell'acqua igienica - Ma-sin non seppe mai perché - e venivano fin da Alba o da Asti in comitiva per berne. Quel che stupisce è die nessun albergatore abbia, mai pensato di farci l'Hotel nella pe-nombra di quegli alberi enormi che sovra­stano lo spiazzo".
funghi porcini e ovoli in abbinamento con patè di tonno

La fontana esiste ancora, anche se è una struttura moderna in ce­mento che ha modificato i caratteri origina-ri. Si trova a sinistra della borgata di Scor­rone. Il ristorante accanto alla fonte ora è stato costruito; fortunatamente, come au­spicava Pavese, è una tranquilla osteria di campagna che propone tutt'oggi menu tipici della tradizione langarola (Tratto­ria Scorrone, via Scorrone 64, telefono 0141/88 f 17, chiuso il martedì sera e mer­coledì).

A gestirla è Bruna Gallo, che non manca di rispettare la consuetudine con un'apertura a tutto antipasto, proseguendo poi con i buoni tajarin e gli immancabili ravioli al plin (cioè al pizzicotto, perché con questo gesto tradizionalmente se ne fermano le estremità); secondo la disponi­bilità ci sono sempre cacciagione, funghi e tartufi.

Per arrivare a Castine ("... è un paese sempre battuto da un vento frizzan­te e di là si vedono fiumi lontani, piccini, nei vapori. Verso sera specialmente, pare di essere in cielo"\ scrive Pavese nel suo "Ciau Masino"), centro di intensa vita religiosa nel Medioevo tanto da meritare menzione in diverse bolle papali, bisogna risalire da un paio di chilometri.

Vale la pena di recarsi al monastero del XV seco­lo, di fronte alla chiesa parrocchiale, il più importante dei tre che anticamente appartenevano al Comune. Merita anche una piccola deviazione "sen­timentale" la visita della cascina Pavaglio-ne, nella contrada di San Bovo, scelta da Fenoglio per ambientarivi il suo romanzo più famoso: "La Malora".

Prima di imboccare la discesa tutta curve verso Cortemilia, anticamente il più potente e antico paese delle Langhe, sarà bene fermarsi per una sosta golosa agli alimentari "Vola" (via Na­zionale 6, telefono 0173/84045). Quasi na­scosti fra forme di pane e scatole di pasta secca, è qui che si trovano i deliziosi ravio­li al plin che Roselda e Pierà producono giornalmente nel loro laboratorio, tirando la pasta rigorosamente a mano.
una distesa di vigneti

La ricetta è quella codificata dalla mamma Giuseppina, che prevede fra gli ingredienti carne di maiale, di vitello e verdure di stagione. Raggiunta Cortemilia, che come rivela il dialetto piemontese Curt-miia prende il nome da "corte di Emilio" (Scauro), con­sole romano che combattè le antiche po­polazioni liguri dei Stazielli Statellati, l'e­sperienza di "andar per langa" si fa più in­trigante.

Il panorama di fondo valle, dietro le divagazioni del torrente Uzzone, espri­me scorci paesaggistici veramente emozio­nanti. La cittadina fu nodo cruciale di una delle più importanti "vie del sale", percor­se dai commercianti che dalla Liguria risalivano le valli, su, su fino a Torino per scambiare sale, acciughe e pesci con vino e formaggi, e oggi si rivela un'insospettabi­le miniera di spunti da approfondire.


Cele­brata "regina delle Langhe" e incoronata più recentemente "capitale della noccio­la", quella a denominazione d'origine "tonda e gentile" cui è dedicata una intera settimana di festa a fi­ne agosto, era antica­mente una struttura difensiva distribuita su cinque fortificazio­ni.

Di tutto ciò non rimane che un tratto di mura e una torre smozzicata che sovra­sta e domina i due borghi divisi dal Bormida: San Michele, sulla riva sinistra del fiume, e San Panta-leo. Migliore sorte è fortunatamente tocca­ta alla chiesa della Madonna della Pieve, costruzione a un'unica navata e abside se­micircolare, originaria dell'XI secolo, che tradizione vuole ospitasse S. Francesco d'Assisi nel suo viaggio in Francia e recen­temente restaurata per riportare nella giu­sta luce le decorazioni di gusto barocco.
i formaggi della zona

Anche dal punto di vista enogastronomico Cortemilia offre numerosi spunti di inte­resse. Un percorso ideale può cominciare dall'"Enoteca Rossello", che, arrivando da Castino, si incontra sulla sinistra prima di imboccare il rettilineo che porta al ponte sul Bormida (strada per Castino, telefono 0173/81349, dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18). Oltre ai vini di Langa (Roero Arneis, Favorita, Dolcetto, Barbera, Grignolino, Nebbiolo, Barbaresco e il "re" Barolo), al suo interno ospita un angolo alimentare dove è possibile scegliere fra varie specia­lità. Solo per citarne alcuni: torte casalin­ghe alla nocciola, prelibatezze in vasetto (funghi e tomini tartufati sott'olio, cagna di mostarda d'uva, burro con acciughe e tar­tufi), salami (tradizionali, sott'olio, al Baro­lo e all'immancabile tartufo).

La bianca presenza del tartufo
Non è un caso che il tartufo sia così pre­sente. Quello dell'Alta Langa, bianco come quello di Alba e - dicono con una punta di orgoglio campanilistico i "trifolao" altolan-garoli - più profumato di quest'ultimo, è u-na costante della cucina tradizionale in au­tunno. E non solo di questa. Nella sua di­stilleria familiare, Sergio Castelli (corso Lui­gi Einaudi 55, telefono 0173/81093) lo usa addirittura in infusione per aromatizzare u-na piccola partita di grappa che produce prevalentemente a uso dei turisti tedeschi e svizzeri. "Ha un profumo molto intenso e il prezzo di vendita" - confessa - "è compren­sibilmente elevato".

Da Castelli si possono trovare, però, anche le grappe più tradizio­nali, da quella Bianc & Nai (bianco e nero, da vinacce nere di Dolcetto e bianche di Arneis) alla Branda (da vinacce delle mi­gliori annate di Barolo, 55°), senza dimenti­care quelle monovitigno, fra cui una - in­trovabile - di Pelaverga, piacevolmente sec­ca e profumata. La grappa di Castelli si può gustare anche comodamente seduti, dopo pranzo, nel migliore ristorante di Cortemi­lia, il "San Carlo" (corso Divisioni Alpine 41, telefono 0173/81546, chiuso il lunedì), che è anche un confortevole albergo a tre stelle. Carlo Zarri, aiutato in sala dalla mo­glie Paola, e sua sorella Consuelo, in cuci­na, propongono piatti langaroli rivisitati creativamente, serviti con cura e accompa­gnati dai vini d'annata dei più qualificati produttori piemontesi.

In questa stagione, però, vale forse la pena di affidarsi al più tradizionale menu degustazione che gli Zarri preparano appositamente in onore del tartufo bianco e in cui non mancano anche piacevoli sorprese che introducono alla riscoperta di una cucina in via di estin­zione. Come le caratteristiche Jrizze, realiz­zate con un impasto a base di fegato di maiale e cervella di vitello, rosolate in olio
una cascina a San Bovo


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Rimini: da Rembrandt a Gauguin a Picasso, l'incanto della pittura

L'incanto della pittura

Rimini
Castel Sismondo 10 ottobre 2009 14 marzo 2010

Capolavori dal Museum of Fine Arts di Boston

Rimini e la meraviglia

Un appuntamento imperdibi­le, perché non altra volta ripro­ducibile. Sessantacinque cap­olavori della pittura europea dal Cinquecento al Novecento proveniente da uno tra i maggiori musei del mondo: il Museum of Fine Arts di Boston. Occasione che mai più si verificherà, dal momento che l'Isti­tuzione americana ha in atto una parziale chiusura delle sa­le che porterà, nell'autunno 2010, all'inaugurazione della nuova, immensa ala progettata da Norman Poster. Tale inizia­tiva condurrà poi, come sempre accade in questi casi, a un successivo blocco dei prestiti. Pertanto Rimini si candida a essere il luogo, non solo in Italia ma in Europa, che rappresenterà nei prossimi mesi Boston e il suo museo straordinario.


Il grande racconto della pittura. Singolarmente vi­cine le dichiarazioni del direttore del Museo ameri­cano, Malcolm Rogers e del direttore di Linea d'om­bra Libri, nonché curatore di questa mostra, Marco Goldin: l'arte è per tutti. Nella comune convinzione che non si debbano innalzare ostacoli né barriere davanti ai capolavori d'ogni tempo. E che questi capolavori possano essere amati veramente da tutti.

La mostra di Rimini, che pur ripercorre molte im­portanti scuole nazionali in Europa, sarà allestita da Marco Goldin secondo un'idea di continui e significativi accostamenti, articolati in sei sezioni:

1. Il sentimento religioso
2. La nobiltà del ritratto
3. L'intimità del ritratto
4. Nature morte
5. Interni
6. II nuovo paesaggio


Gaugin: paesaggio con due donne bretone, 1889

Il Veronese: Paolo Caliari, detto il Veronese, Cristo morto sorretto dagli angeli, 1580-1588 circa

El Greco: San Domenico in preghiera, 1605



Jacopo Basano: il Cristo deriso, 1580-1590

Rembrandt: il reverendo Johannes Elison, 1634

Gainsborough: Mrs. Edmund Morton Pleydell, 1765


Velazques: Luis de Gòngora y Argote, 1622

Degas: Edmondo e Teresa Morbilli, 1865

Picasso, Ritratto di donna, 1910

Renoir: Bambini sulla spiaggia, 1883

Manet: lezioni di musica, 1870


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Il Castello di San Giorgio risulta a tutt'oggi il monu­mento maggior­mente rappresenta­tivo della vicenda storica della città della Spezia

Il Castello di San Giorgio risulta a tutt'oggi il monu­mento maggior­mente rappresenta­tivo della vicenda storica della città della Spezia.

Posta su un piccolo rilievo chiamato il Poggio, dominante l'abitato di formazione bassomedievale, la fortezza ha conosciuto numerose fasi di edificazione, documentate a partire perlomeno dalla seconda metà del XIV secolo: è a questa data difatti che sono ricon-ducibili le fondamenta della torre oggi conser­vata solo nella porzione basamentale e compresa nella parte superiore della struttura, le mura­ture dotate di feritoie per arcieri poste a set­tentrione, in dirczione del giardino esterno, ed il lembo di mura urbane superstite interrotto dallo svolgimento di via XX settembre.

Nel 1443 il Ca­stello subisce un radicale intervento con l'aggiunta del corpo a valle, apprestato per l'utilizzo delle armi da fuoco, mentre un secolo più tardi, nel 1554, si da inizio ai lavori di edificazione di un'impor­tante opera difensiva di appoggio chiamata la Bastia, i cui resti sono riaffiorati recentemen­te, ed a una totale riqualificazione della parte sommitale dell'edificio.


Infine nel 1607 si da mano agli interventi che ci consegnano il Castello nella sua forma definiti­va, al seguito dell'importante opera di riqualifica­zione del sistema difensivo del Golfo che Genova
apporta per paura della controffensiva spagnola.

Coeva anche a questa fase l'edificazione della Torre di San Giovanni Battista, detta anche Torre Scola, nell'insena­tura dell'Olivo, non di­stante da Portovenere. Sfruttando la scansione dei locali del castello di San Giorgio si sono programmati due percor­si complementari, conseguenti o alternativi: al piano inferiore sono ospitate testimonianze della vita del territorio dal pleistocene alla roma­nizzazione e sulla formazione della stessa raccol­ta museale, al piano superiore sono conservati i reperti romani provenienti dall'area di Luni e già facenti parte della collezione Fabbricotti.

Piano Inferiore.
Al piano inferiore si apre con la presentazione della collezione archeologi­ca extraterritoriale acquisita dal Museo Civico e raccolta dal geologo spezzino Giovanni Capellini che, alla seconda metà del secolo scorso, studiò materiali preisto­rici, protostorici e classici gettando le basi scientifiche della moderna archeologia grazie alla fìtta tete di relazioni tta intellet­tuali di tutta Europa.

Nella piccola vetrina latetale della sala II, dove inizia la sezione dedicata al terri­torio della Lunigiana, si trovano reperti di età neolitica come le accette levigate da San Bernardino, Palmaria e Capo Corvo alle quali si affiancano esempi di immani-cature in corno cervino non provenienti dalla Lunigiana ma entrate in Museo grazie alla raccol­ta Capellini. Nella vetrina maggiore sono invece esposti i reperti eneolitici dalla Grotta dei Colombi dell'isola Palmaria, scavata negli anni 1869-70, e dalla Tana della Volpe di Equi Ferme.


Le cavità vennero utilizzate, nell'età del Rame, come sede del particolare rito fune­bre consistente nella deposizione o nel­l'inumazione dei cadaveri all'interno di grotticelle. I resti umani e la tipologia dei loro corredi (soprattutto dei monili formati da conchiglie e dell'industria su pietra e osso) sono del tutto affini a quelli ritro­vati in altre inumazioni eneoliti-che delle Alpi Apuane e dell'Italia setten­trionale.

L'elemento di maggior importanza è però costituito dalla taccolta di statue stele presentata nelle due pedane perimetrali; le statue, pur denotando una caratteristica e specifica connota­zione locale, si inseriscono nella corrente artistico-religiosa della statuaria antropomorfa europea presentando carat­teri analoghi ad altri gruppi archeologici come quelli delle stele del Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta, Sardegna, Corsica, Svizzera e Francia. Le stele sono state ritrovate a più riprese, a partire dal secolo scorso, nel bacino fluviale della Magra e dei suoi affluenti e docu­mentano la nascita e il fiorire della produzione nell'età del Rame (IV-III millennio a.C.) e nell'età del Ferro. Di questi originali, diciannove sono conservati al Museo ed esposti insieme ad alcuni confronti signi­ficativi realizzati in calco.

La sala HI ospita la stele dell'età del Ferro denominata Filetto I e le riproduzio­ni degli esemplari di Campoli, Nova, Filetto e Bocconi.

Nelle vetrine i ritrovamenti di età del Bronzo e del Ferro sono testimo­niati dai materiali da Migliarina, piana di Luni e Rossano di Zeri, non­ché dai reperti da necropoli e da par­ticolari abitati conosciuti come castellati. Le tombe ad incinerazione di Pegazzano, Ponzolo, Valdonica, Resceto e Limone Melata sono pre­sentate in espositori che mostrano nella parte inferiore la ricostruzione della struttura funeraria litica, la cosid­detta cassetta, e nella superiore i resti e il corredo funebre dei cremati. Le grandi vetrine laterali accolgono i reperti delle necropoli di Ameglia e Genicciola.
Gli stanziamenti d'altura noti con il nome di castellati (dalla base prelatina cast, significante luogo elevato) furono fre­quentati a partire dalla media età del Bronzo sino alla seconda età del Ferro, quando condi­zioni climatiche, sociali ed economiche si stabilizzarono in un quadro che vedeva la pastorizia d'altura come una importantissima fonte di sostentamento. I punti strategici dei per­corsi di crinale vennero occupati da inse­diamenti, come quelli di Pignone e Pieve San Lorenzo presentati in mostta, che potevano controllare agevolmente passi e favorevoli zone di pascolo utilizzate, con transumanze a breve raggio, da abitati di fondovalle.

Il primo percorso si chiude con l'esposizione, nella parte posteriore del­la sala I, della sezione pa­leontologica — rappresen­tante parte del nucleo origi­nale del museo spezzino, na­to nel 1873 con il fine di con­servare le testimonianze natura-listiche ed archeologiche del ter-ritotio — e con materiali provenienti dal­le ville e dagli scali di Bocca di Magta (per gentile concessione della Soptintendenza pet i Beni Archeo­logici della Li­guria) e San Vito di Matola, alla Spezia.

Piano Superiore
al piano inferiore si apre con la presentazione della collezione archeologi­ca extraterritoriale acquisita dal Museo Civico e raccolta dal geologo spezzino Giovanni Capellini che, alla seconda metà del secolo scorso, studiò materiali preisto­rici, protostorici e classici gettando le basi scientifiche della moderna archeologia grazie alla fìtta tete di relazioni tta intellet­tuali di tutta Europa.

Nella piccola vetrina latetale della sala II, dove inizia la sezione dedicata al terri­torio della Lunigiana, si trovano reperti di età neolitica come le accette levigate da San Bernardino, Palmaria e Capo Corvo alle quali si affiancano esempi di immani-cature in corno cervino non provenienti dalla Lunigiana ma entrate in Museo grazie alla raccol­ta Capellini. Nella vetrina maggiore sono invece esposti i reperti eneolitici dalla Grotta dei Colombi dell'isola Palmaria, scavata negli anni 1869-70, e dalla Tana della Volpe di Equi Ferme.

Le cavità vennero utilizzate, nell'età del Rame, come sede del particolare rito fune­bre consistente nella deposizione o nel­l'inumazione dei cadaveri all'interno di grotticelle. I resti umani e la tipologia dei loro corredi (soprattutto dei monili formati da conchiglie e dell'industria su pietra e osso) sono del tutto affini a quelli ritro­vati in altre inumazioni eneoliti-che delle Alpi Apuane e dell'Italia setten­trionale.

L'elemento di maggior importanza è però costituito dalla taccolta di statue stele presentata nelle due pedane perimetrali; le statue, pur denotando una caratteristica e specifica connota­zione locale, si inseriscono nella corrente artistico-religiosa della statuaria antropomorfa europea presentando carat­teri analoghi ad altri gruppi archeologici come quelli delle stele del Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta, Sardegna, Corsica, Svizzera e Francia. Le stele sono state ritrovate a più riprese, a partire dal secolo scorso, nel bacino fluviale della Magra e dei suoi affluenti e docu­mentano la nascita e il fiorire della produzione nell'età del Rame (IV-III millennio a.C.) e nell'età del Ferro. Di questi originali, diciannove sono conservati al Museo ed esposti insieme ad alcuni confronti signi­ficativi realizzati in calco.

La sala HI ospita la stele dell'età del Ferro denominata Filetto I e le riproduzio­ni degli esemplari di Campoli, Nova, Filetto e Bocconi.

Nelle vetrine i ritrovamenti di età del Bronzo e del Ferro sono testimo­niati dai materiali da Migliarina, piana di Luni e Rossano di Zeri, non­ché dai reperti da necropoli e da par­ticolari abitati conosciuti come castellati. Le tombe ad incinerazione di Pegazzano, Ponzolo, Valdonica, Resceto e Limone Melata sono pre­sentate in espositori che mostrano nella parte inferiore la ricostruzione della struttura funeraria litica, la cosid­detta cassetta, e nella superiore i resti e il corredo funebre dei cremati. Le grandi vetrine laterali accolgono i reperti delle necropoli di Ameglia e Genicciola.
Gli stanziamenti d'altura noti con il nome di castellati (dalla base prelatina cast, significante luogo elevato) furono fre­quentati a partire dalla media età del Bronzo sino alla seconda età del Ferro, quando condi­zioni climatiche, sociali ed economiche si stabilizzarono in un quadro che vedeva la pastorizia d'altura come una importantissima fonte di sostentamento. I punti strategici dei per­corsi di crinale vennero occupati da inse­diamenti, come quelli di Pignone e Pieve San Lorenzo presentati in mostta, che potevano controllare agevolmente passi e favorevoli zone di pascolo utilizzate, con transumanze a breve raggio, da abitati di fondovalle.

Il primo percorso si chiude con l'esposizione, nella parte posteriore del­la sala I, della sezione pa­leontologica — rappresen­tante parte del nucleo origi­nale del museo spezzino, na­to nel 1873 con il fine di con­servare le testimonianze natura-listiche ed archeologiche del ter-ritotio e con materiali provenienti dal­le ville e dagli scali di Bocca di Magta (per gentile concessione della Soptintendenza pet i Beni Archeo­logici della Li­guria) e San Vito di Matola, alla Spezia.
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