Ed infine da qualche giorno anche a queste latitudini si è provveduto al cambio di stagione. E allora con giacconi e cappelli sarà tempo per scoprire prospettive sorprendenti della geografia costiera, magari quella amalfitana, spendendo una giornata tra Vietri e Cetara. Due comuni, due anime, due aspirazioni, un solo confine: il mare.
L’inverno con i suoi umori, infatti, regala dettagli, satura i colori, svela l’intimità nascosta di luoghi e genti violentati dal delirio estivo. Ora che le vie sono sgombre, che i cieli sono soffiati dalla tramontana, che i ritmi sono segnati dai passi lenti che risuonano tra le strade strette sarà vero viaggio.
Vietri è un casello di autostrada quando già Salerno è lì sul fondo. Precipiti giù lungo il viadotto e sarà subito la piazza con il suo corso. Con il grigio delle nuvole le ceramiche fuori e dentro le botteghe sembreranno regalare ancora più luce al basolato ed agli intonaci umidi. In quei decori di tazze, bicchieri, piatti e statue c’è arte ed anche un ‘idea del Mediterraneo più intensa delle fotografie del mare che ti porterai via.
Consumate il corso Umberto fino alla fine. La fabbrica di ceramiche artistiche Solimene vi apparirà come uno smisurato gesto poetico le cui parole sono mattoni in rima. Lì l’architetto Paolo Soleri e’ riuscito ad edificare un sogno affinchè per una volta la memoria non lo renda muto. Il piccolo ristorante Evù infine, vi ricorderà che comunque il mare è protagonista ed ha molte risorse per esprimersi.
Cetara è cinquemilacinquecento metri di curve più a nord. Sembrerà di accarezzare la roccia ad ogni giro di volante poi sarà un cartello ad introdurre nel paese della colatura di alici.
Qui la prospettiva del corso principale è l’abbaglio del mare con la spiaggia e il porto disegnate come un tratto di curva a contenere la verticale di case che scivola dalla collina.
Borgo marinaro vero, con una architettura semplice, colorata con la scatola dei pastelli dove corti, scale e terrazzi sembrano proiettare la vita ed il suo teatro all’esterno delle mura nella sua rappresentazione quotidiana.
Poi la storia millenaria che si insinua a memoria e difesa di una identità. Il convento Francescano e la Torre edificata sul timore delle conquiste arabe. Poi, all’ora del pranzo, obbligatoriamente il tonno e le alici nel loro divenire. Basterà -in quei magici cento metri- dividersi tra i tavoli del Convento, del San Pietro o di Acquapazza.
Anche questa è cultura.
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